E’ difficile pregare dicendo: Padre… Se nella nostra vita abbiamo fatto un’esperienza negativa di paternità. Il Padre al quale ci rivolgiamo è un Padre completamente diverso da quello che abbiamo sperimentato nella nostra esistenza.
Proprio nella sofferenza di pronunciare la parola “padre”, c’è tutto il bisogno di fare un’esperienza positiva di paternità. D’altra parte è proprio il prosieguo della frase: “che sei nei cieli” è insita una diversità radicale di amore, un’altra dimensione di amore, che è un amore instancabile. Se abbiamo vissuto un’esperienza di sofferenza nella propria vita, questa ci fa chiudere al nostro rapporto con Dio. Pregare, allora, significa che Dio può farci fare un’esperienza positiva di amore, lenendo il dolore di quelle ferite dell’amore orizzontale che abbiamo sperimentato.
TU/NOI
La seconda caratteristica della preghiera del Padre Nostro la troviamo nella totale assenza della parola “io”. Troviamo solo la parola “tu” e la parola “noi”. La preghiera è proprio ciò che ci distrae da noi stessi, dalle nostre emozioni pensieri esperienze che abbiamo vissuto. Rimanere chiusi nel proprio io, significa vedere i propri problemi come delle cose insormontabili e profondamente ingiuste. Gesù, sembra dire che per pregare autenticamente bisogna essere disposti a disobbedire al nostro io, alzare lo sguardo e riconoscere nel volto di Dio, che si è manifestato in Gesù, quel Padre che non è nascosto nei cieli, ma che è la versione autentica dell’amore.
Non si può pronunciare la preghiera del “Padre Nostro” senza passare attraverso il “tu” del volto di Cristo, per poi diventare il “noi” del volto dei fratelli che ci circondano. Con loro chiediamo il pane che è pane vero e non simbolico, il pane che ci dà il sostentamento, per poi diventare pane in tutte quelle esperienze di cui ogni uomo ha bisogno.