LELE RAMIN, IL MITE COMBONIANO VITTIMA DEI “FAZENDEROS”

È possibile trascorrere un solo anno in missione e lasciare un segno profondo nella gente? La storia del comboniano Ezechiele (per tutti Lele) Ramin, ucciso nel luglio 1985 in Brasile, dice che è possibile.

Nato e cresciuto a Padova, attivo nel gruppo locale di Mani Tese, brillante negli studi al prestigioso Collegio Barbarigo, Lele ama la bici, la chitarra e le montagne; spesso lo si vede circondato da ragazze. 

Perciò, stupisce familiari e amici quando, nel 1972, decide di entrare nelle file dei Comboniani. 

Ordinato prete nel 1980, viene inviato (lui che sapeva inglese, francese e spagnolo) in un Paese di lingua portoghese. Cacoal, nello Stato di Rondonia, cuore dell’Amazzonia. 

Padre Lele ci arriva all’età di 31 anni, nell’estate del 1984. Viene da un periodo di formazione in Italia e a Chicago, una prima esperienza pastorale tra gli indios nel Sud Dakota e una in Bassa California messicana. 

Ma per lui non meno decisivi erano stati i 40 giorni passati, nel 1980, tra i terremotati dell’Irpinia: lì aveva toccato con mano, accanto alla generosità per i colpiti, la forza perversa della camorra, infiltratasi per speculare sulla ricostruzione. 

Anche in Brasile Lele si trova a combattere le mafie locali, ovvero lo strapotere dei possidenti terrieri, i quali calpestano il diritto dei più deboli, cioè i contadini e gli indios Suruì. Sulla scia dell’opzione preferenziale per i poveri della Chiesa latinoamericana, si schiera, dalla parte degli ultimi. 

Ma senza mai fare ricorso alla violenza. Pagherà col sangue la scelta di essere mite fino alla fine. Papa Wojtyla lo ha definito “martire della carità”.