XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 13 Settembre 2020

Dal Vangelo Secondo Matteo Mt 18,21-35

Come sempre Pietro si fa portavoce degli altri apostoli, Matteo lo considera anche portavoce della sua comunità che si interrogava sul perdono. Anche noi facciamo nostra la domanda, perché il comando del perdono dei fratelli ci tocca nel profondo e ci crea non poche difficoltà. Pietro nella sua domanda-proposta, dicendo “sette volte”, ritiene di esagerare, dal momento che nella teologia ebraica Dio perdona lo stesso peccato tre volte e il giudeo osservante è tenuto a imitarlo, alla quarta offesa poteva rivolgersi alla legge. Gesù corregge questa immagine di Dio, e rivela che egli perdona sempre. Per questo impegna i suoi discepoli a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Nella legge ebraica, al tempo di Gesù, non era consentito vendere i familiari del debitore né torturare. Perciò il re di cui parla il Signore è un pagano, che qui assume il ruolo di immagine del Padre di Gesù e nostro: è eccessivamente misericordioso, ma lo fa perché lui è buono e perché spera così di offrire un esempio e una motivazione forte, affinchè i suoi figli imparino da lui a perdonare tutto e sempre. L’attenzione poi si sposta proprio sul servo: dopo aver sperimentato l’infinita misericordia del re, solo per averlo supplicato, e uscito libero dalla sua condizione di debitore insolvente, non sente il bisogno della riconoscenza né verso il re né verso Dio, anzi non perde tempo a togliere il respiro e a far gettare in prigione chi gLi doveva una somma irrisoria rispetto al condono ricevuto. La sproporzione tra diecimila talenti e cento denari è un pallido esempio della diversità che c’è tra il dono che riceviamo da Dio e quello che possiamo e dobbiamo fare ai fratelli. Il suo comportamento scandaloso indigna gli altri e lo trascina di nuovo di fronte al re e alle sue responsabilità. Questa volta non ha neanche il coraggio di ripetere la preghiera, dimostrando così che il dono ricevuto non gli ha cambiato il cuore verso il Signore e verso i fratelli. E qui conviene fare una distinzione tra il re pagano della parabola e Dio Padre. Non è Dio che non perdona più, è il cuore dell’uomo che è incapace di accogliere il dono della salvezza. Così le parole «…finchè non avesse restituito tutto il dovuto», possono indicare che il Signore aspetta e spera sempre che il «servo malvagio» converta il proprio cuore e la propria vita. La conclusione di Gesù è un capolavoro di arte pedagogica: dopo averci portato a condividere l’indignazione dei «compagni», repentinamente ci costringe a guardarci dentro e a chiederci se anche noi siamo stati «servi malvagi». Non ci sono sconti, c’è solo una strada per la salvezza di ciascuno di noi e delle comunità: imitare la misericordia di Dio.