Lc 18,1-8
Questo Vangelo afferma la necessità di pregare sempre senza stancarsi e, per chiarire meglio il concetto, ci mostra l’insistenza nel domandare giustizia da parte della vedova che ha davanti a sé un giudice iniquo.
Il testo offre l’opportunità di riflettere sul nostro modo di intendere la preghiera. È purtroppo diffusa l’idea che è utile pregare ma che per farlo servirebbe tempo e il tempo non c’è mai.
O, meglio, crediamo nell’importanza della preghiera ma preferiamo agire, perché così ci sentiamo “protagonisti”, e pensiamo che per risolvere le cose bisogna darsi da fare, correre, intraprendere. Insomma, ci affidiamo più all’efficacia dell’azione che a quella della preghiera. Se dovessimo scegliere tra agire e pregare sceglieremmo l’azione. Diciamoci con franchezza che questo modo di pensare e agire è sbagliato. Come pure è sbagliato ricorrere alla preghiera solo dopo avere sperimentato l’inefficacia delle nostre azioni.
È urgente recuperare il senso della preghiera, che si manifesta concretamente nel pregare sempre. Chi ha anche una piccola esperienza di preghiera avrà sicuramente constatato che essa è così efficace da indurci e scegliere di pregare prima di agire, prima di operare.
Ciò vale anche in ambito lavorativo: è comune l’idea che per vincere anche la concorrenza si debba lavorare molto, essere innovativi, competenti. Il lavoro è vissuto come una realtà che non ha bisogno della nostra preghiera.
Ma le cose stanno esattamente al contrario: il lavoro richiede la nostra preghiera. Con essa il nostro cuore rimane correttamente orientato e ci permette di vivere nella giustizia, di scegliere stili di vita coerenti, di cogliere il significato autentico del lavoro. Siamo ancora capaci di trovare il tempo per pregare?