Non c’è più nulla di sano nella mia carne, le mie ossa sono incrinate.
Questa supplica acquista una forza particolare perché anticamente il lebbroso veniva considerato non solo un malato grave ma anche una persona fuori dal mondo.
Egli era l’emblema della solitudine, della emarginazione e della cacciata dalla comunità.
Per questo motivo il salmista implora perdono, la sua miseria fisica è vista come segno della rovina interiore. Dalla sua bocca viene fuori un grido di aiuto rivolto a Dio, un appello “corposo”, fatto di carne e sangue, di lacrime e di domanda. Non
esiste solo la lebbra fisica ma anche quella dello spirito e che solo Dio possa sanare con il suo intervento.
“Pietà, Signore, per il mio corpo provato… Perdona i miei delitti e salvami per il tuo amore!”