TEMPO DI QUARESIMA

Già nel Sacrosanctum Concilium (109) si premura di ricordare il duplice carattere della Quaresima: tempo di immediata preparazione al battesimo per coloro che lo celebreranno nella Veglia pasquale e tempo di riscoperta o di recupero della propria identità cristiana smarrita o deturpata dal peccato per i già battezzati. Tempo iniziatico per eccellenza, per chi deve nascere alla fede e per chi deve ritornare alla bellezza della grazia battesimale. Un tempo, dunque, da non svilire semplicemente intensificando le iniziative, ma da vivere nella fede cogliendone la radice più propria.

A questo recupero conduce l’esperienza penitenziale, l’impegno intenso e accurato per intavolare cammini credibili di conversione per tutti i credenti. Fare penitenza non è altro che rinnovare l’esistenza in risposta all’appello di Cristo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). Tutto ciò si traduce in un’opera accurata che ha per soggetto la Chiesa per ricondurre i peccatori all’incontro con Dio: azioni di riscatto concrete fatte di ascolto della Parola e di preghiera, di dialogo interpersonale e di tappe comunitarie, di spazi di silenzio e di momenti di verifica. Questo è l’agire di una Chiesa che fa penitenza, tutta coinvolta nello sforzo di prendere per mano il fratello che ha sbagliato, nell’indicargli la strada di casa, nell’elevare suppliche fiduciose al solo che può guarire, nel tracciare piste convincenti e fattibili di vera conversione. Tutto il corpo ecclesiale deve sentire il peso e la fatica dell’accompagnare, seguire e curare le parti “malate”. Digiuno, preghiera e carità (Mt 6,1-18) attestano che il nostro corpo, orante o intento a compiere o ricevere gesti di carità o ancora occupato a prendere cibo o ad astenersi dal mangiare, è la  pagina sulla quale possono essere impresse le tracce del nostro fallimento, ma anche della nostra vittoria con Cristo. Sullo sfondo, le grandi narrazioni dell’anno A che pongono singoli e comunità in cammino verso il Cristo, acqua di cui non si può fare a meno, luce necessaria, vita di un’umanità segnata dai colpi della morte. Morire con lui per approdare con lui vittoriosi all’alba della Pasqua. Vissuta in questa prospettiva, la Quaresima non è riducibile a un mero atto devoto, ma diventa “sacramento” della nostra conversione, itinerario che ha il suo compimento nella rinascita dell’uomo oppresso dal peccato. Ciò che emerge continuamente dai testi eucologici e scritturistici è il grande tema dell’alleanza, la condizione di un popolo non più suddito di un Dio padrone, ma figlio e alleato di un Dio pieno di misericordia: “Tu riapri alla Chiesa la strada dell’esodo attraverso il deserto quaresimale, perché ai piedi della santa montagna, con il cuore contrito e umiliato, prenda coscienza della sua vocazione di popolo dell’alleanza, convocato per la tua lode nell’ascolto della tua parola e nell’esperienza gioiosa dei tuoi prodigi” (prefazio di Quaresima V). Un’alleanza che trova il suo culmine e la sua piena e definitiva attuazione in Gesù Cristo venuto a chiamare gli uomini alla salvezza e alla comunione piena con Dio: “Egli ci ha salvati e ci chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia” (2Tm 1,9). La fedeltà alla vocazione santa è lo scopo di questi quaranta giorni: dalla cenere di ciò che si è alla luce di ciò che si può essere sulle orme di Cristo, uomo nuovo.