Vangelo: Gv 9,1-41
Il vangelo presenta l’episodio dell’uomo cieco dalla nascita, al quale Gesù dona la vista.
Il cieco guarito viene prima interrogato dalla folla meravigliata, poi dai dottori della legge. Alla fine il cieco guarito approda alla fede, e questa è la grazia più grande che gli viene fatta da Gesù: non solo di vedere, ma di conoscere Lui, vedere Lui come “la luce del mondo” (Gv 2,7).
I discepoli, danno per scontato che la sua cecità sia frutto di un peccato personale o dei suoi genitori. Gesù invece rifiuta questo pensiero e dice:
“Né lui ha peccato né i suoi genitori….” (Gv 9,3)
Dinanzi all’uomo attraversato dal limite e dalla malattia Gesù sottolinea che Dio ha creato l’uomo per la vita. Poi spalma sugli occhi del cieco con un po’ di terra e di saliva del fango. Questo gesto richiama alla creazione dell’uomo (Gen 2,7).
Mentre il cieco si avvicinava gradatamente alla luce, i dottori della legge cadono nella loro cecità interiore, dubitano dell’uomo guarito, poi negano l’azione di Dio, giungono persino a pensare che quell’uomo fosse nato cieco. Sono chiusi alla luce. Gesù invece gli domanda:
“Tu credi nel Figlio dell’uomo?” ed il cieco guarito rispose: “credo, Signore” (Gv 9,38)
Dopo che il cieco è stato allontanato dal tempio Gesù lo incontra di nuovo e gli rivela la propria identità: “ Io sono il messia”.
La cecità rappresenta l’uomo bisognoso di luce divina, di luce di fede per camminare nella via della vita