Il capitolo 3ª della Genesi, ci fa piombare nella via della bruttezza e della bruttura. Si parla di un simbolo vegetale, una pianta non registrata in botanica, l’albero della conoscenza del bene e del male identificato dalla tradizione popolare in un melo.
Questo albero metaforico rappresenta un sistema etico di vita: si tratta della scelta fondamentale nei confronti dell’essere e dell’esistere. È per questo che una tale conoscenza ha per oggetto “il bene e il male”. Sotto quest’albero l’uomo è solitario, coinvolto in un divieto e in una tentazione. La proibizione è netta (3,17), la tentazione, invece, è espressa in modo folgorante dal serpente. Il divieto divino ricorda che la morale, come la verità, è trascendente. La tentazione ci ricorda che l’uomo è un essere libero capace di rispettare la norma oppure di trasgredirla.
La sorgente del peccato è allora, in un atto di superbia, di sfida, nel quale l’uomo vuole “diventare come Dio”.
L’autore del Siracide così dice: “Dio in principio creò l’uomo e lo lasciò in balia del proprio volere… (15,14).
G. RAVASSI