Dal Vangelo secondo Matteo Mt 16,21-27
Domenica scorsa Pietro aveva sintonizzato l’anima e l’intelligenza sulla lunghezza d’onda dello Spirito del Dio altissimo su un dato importante della personalità del suo Maestro, ma ancora centrato su quello che era percepibile all’esterno della sua personalità: Gesù è il Messia, figlio di Dio. Questa domenica Gesù comincia a spiegare come Dio gli ha chiesto di realizzare il suo compito sulla terra: il dono di sé nella morte di croce fino allo sperimentare l’abbandono da parte del Padre: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34), in mezzo alle derisioni e al rifiuto sprezzante degli uomini istigati dagli esponenti principali del popolo e dai più devoti e osservanti della Legge. Ma non sarebbe finita là, perché da tali eventi di morte e risurrezione, per chi lo accoglie, sarebbe sorta la possibilità di riavere per grazia la vita stessa di Dio, con la risurrezione prima di Gesù e poi dell’uomo. Pietro, però, si spaventa della modalità ignominiosa, dolorosa e inaspettata richiesta, non fa nemmeno caso all’accenno alla risurrezione, e ascolta la sua intelligenza umana che si ribella a tutto questo. Gesù non si fa certo cambiare opinione da un piccolo ragionamento di creatura umana, staccata dalla fonte divina cui prima si era abbeverato. Anzi lo ferma e ricorda a tutti che per seguirlo occorre accogliere fino in fondo il pensiero di Dio e non il nostro, nella sostanza e nelle modalità, anche quando il nostro pensiero umano ci sembra più giusto e sensato.