Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,14-30
Ogni bravo agricoltore sa che, se semina grano sterile o se interra grano buono in un terreno arido e pietroso, i risultati saranno quelli di raccogliere nulla, al massimo il seme non germinato. Ma il bravo coltivatore sa soprattutto che se impegnerà, dando spazio alle sue capacità ,dai buoni chicchi di grano otterà spighe abbondanti e un ottimo raccolto che lo ricompenserà delle sue fatiche. Tutti noi dobbiamo essere dei bravi agricoltori e, in riferimento alla parabola dei talenti che il padrone, prima di partire, affida ai suoi servi, c’è da evidenziare la necessità di adoperarsi per valorizzare quanto avuto dal Signore. Poco importa se si tratti di un talento, di due o di cinque. A prescindere dal fatto che il talento cui il Vangelo fa riferimento era una entità per nulla trascurabile, ciò che è fondamentale è che ciascuno di noi valorizzi il talento ricevuto. Se il padrone avesse voluto semplicemente conservare la sua ricchezza, l’avrebbe affidata alla banche che al suo ritorno gli avrebbero restituito il capitale e l’interesse, ma il Signore ha scelto di affidare i suoi beni ai tre servi proprio per stimolare la capacità di ciascuno. Nella parabola colpiscono: la durezza del padrone nei confronti del servo che non aveva fatto altro che conservare il denaro ricevuto restituendolo intatto e la terribile sentenza finale con il servo fannullone gettato nelle tenebre. Atteggiamenti un po’ forti che servono a farci comprendere l’importanza di sfruttare i doni che il Signore assicura a ciascuno di noi. Restare nell’indifferenza, passivi, non in relazione e in sintonia con gli altri, non recepire il “damose da fa e volemose bene” che papa Giovanni Paolo II rivolse alla cittadinanza romana, è una grave colpa che impoverisce la nostra vita fino a far svanire la relazionedi fiducia con il Signore.