Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,31-46
È drammatico il quadro del giudizio finale che ci è proposto nella memoria di Cristo re, pastore degli uomini, resi partecipi del suo sacerdozio regale. Lo scenario delle genti riunite davanti al re giudice che separa bene e male, spinge il fedele al desiderio di appartenere alla schiera dei giusti. Cristo re ama tutti e concede a ognuno ciò che desidera. Cristo è un lettore attento dell’archivio del nostro vissuto, che non evidenzia le nostre debolezze ma le azioni quotidiane che scrivono la storia e rivelano i cieli: acqua e cibo donato, focolare che accoglie, guardaroba condiviso, malattia alleviata dalla sussidiarietà cristiana, solitudine sostenuta dalla solidarietà. Cristo re che non ammette il “non mi tocca”, l’indifferente tiepidezza che non guarda il bisogno dei più piccoli e riduce ad anonima categoria sociale coloro che invece sono occhi, braccia, gambe, carne e nome di Dio. Alla parusia dei tempi saremo giudicati sull’amore. La carità sarà il rendiconto delle scelte compiute sulla terra per essere in Cristo, coeredi del regno di Dio, della vita eterna. Il nostro cuore, luogo di incontro della domanda di Dio con la nostra libera risposta, è il punto critico in cui ci giochiamo la sua regalità sui rapporti, sulla società, sulla storia. La nostra risposta di amore, non impersonale ma concreto, estende la sua Signoria nel tempo e nello spazio; perché chi ha in sé l’amore autentico, possiede la scintilla di eterno che rende connaturali di Dio. La comunione umana, in particolare con i più bisognosi, non è un “pio ufficio”, ma ha senso divino: non raccolta di buone azioni, ma l’eterna solidarietà in Dio, in quanto responsabili tutti di una piccola parte del Regno. “Più sacro dell’altare in pietra è l’altare umano eretto in ogni strada”. Alleniamoci ai criteri con cui saremo giudicati.