Dal Vangelo secondo Marco Mc 1,40-45
Davvero scomodo il vangelo di questa domenica, perché ci costringe a confrontarci con una realtà che spesso non vogliamo guardare in faccia: la malattia. La lebbra non solo era (ed è) una malattia terribile e ripugnante, ma constringeva chi ne era vittima a vivere ai margini della società e chi stava attorno a evitare ogni contatto con i lebbrosi. Eppure il brano di oggi ci riconcilia con la malattia e la sofferenza: il malato che soffre non è disperato, ma cerca Dio, con una fede che forse non si sarebbe mai manifestata se la malattia non avesse rivoluzionato la sua vita. Nella malattia si può anche scoprire una fede mai sentita prima e si può incontrare Dio, quell’incontro anelato per tutta una vita.
E Gesù “mosso a compassione… lo toccò”. Quanto mai tenero questo gesto di Gesù, che, contravvenendo anche ai divieti che la sua società gli imponeva, tocca il lebbroso per prendere su di sé la sofferenza sua e di ciascuno di noi. Chi soffre spesso vuole un “tocco” d’amore, di accoglienza, di condivisione del suo dolore: Gesù oggi ci chiede quanto siamo capaci di portare la croce assieme a chi soffre come il Cireneo (Mc 15,21). E noi siamo come il buon Samaritano che fascia le ferite e si prende cura del prossimo (Lc 10,30-37)? Quanto siamo capaci di contravvenire al modus pensandi del nostro tempo, che rifiuta la malattia ed esalta la perfezione, la bellezza, l’efficienza, l’edonismo e la vita facile? Andare contro corrente è difficile anche perché si rischia di essere isolati. Eppure il lebbroso guarito “si mette a proclamare il fatto”, non riesce a trattenersi, perché chi ha ricevuto così tanto amore dall’incontro con Dio non può più tenerlo per sé. È questo il vero miracolo ed è quel miracolo che ci insegnano i malati di Lourdes: non tanto la gauarigione della malattia, ma la fede che si trova , si riscopre o si fortifica e si diffonde come un fiume in piena.