Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,1-15
Nel Vangelo di Marco della scorsa domenica avevamo lasciato Gesù che insegnava alla folla. Questa domenica ritroviamo Gesù con la stessa moltitudine che ha bisogno di mangiare. Fra i segni compiuti da Gesù, il miracolo dei pani viene riportato da tutti e quattro gli evangelisti ed è sicuramente il più clamoroso, tanto da provocare lo stupore della gente accorsa. All’inizio dell’episodio, provocando i suoi discepoli, ai quali chiede dove si può “comprare” il pane per sfamare tutta quella gente, Gesù vuole superare le logiche del “buon senso”, per condurci verso una logica dell’amore. I discepoli rispondono come avremmo fatto noi: non abbiamo soldi sufficienti, perché tutti ne abbiano un pezzo, figuriamoci per sfamarli; o argomentando con principi di efficienza: con quello che c’è da dividere, cinque pani d’orzo e due pesci, non si può neanche cominciare a dare da mangiare a così tanta gente! Eppure Gesù parte da quel poco per fare il miracolo, quei cinque pani e due pesci, donati da un ragazzo senza nome e senza fama. Ancora una vola l’opera di Dio, per compiersi pienamente, ha bisogno del si dell’uomo, un piccolo e timido cenno affermativo che produce un fiume di bene! In quel gesto poi di prendere i pani, di rendere grazie e di distribuire, c’è tutto il preludio all’”ultima cena”, al banchetto eucaristico dove il pane è Gesù stesso e il mangiare dello stesso pane ci rendono figli del Padre e fratelli fra noi. Distribuendo quel pane alla folla radunata, Gesù non dà solo sostegno per il corpo, ma offre il nutrimento per l’anima. E il pane avanzato? Dodici ceste di resti, come i dodici apostoli, un pane conservato e custodito da noi come Chiesa. Un pane che non può diventare raffermo, ma che va continuamente donato. Per riuscire a fare questo, dobbiamo vedere chi abbiamo vicino, dobbiamo farlo sedere come Gesù ha fatto sedere quella moltitudine e a ciascuno ha fatto gustare di quel pane della salvezza, fino alla sazietà.