XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 11 Agosto 2024

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6, 41-51

Questa terza tappa in compagnia di Giovanni si apre col dubbio, la mormorazione: come è possibile che chi è figlio di Giuseppe, lo conosciamo tutti, no?, possa affermare di essere “disceso dal cielo”? Come se la piena umanità di Gesù, il suo essersi assunto in tutto e per tutto la nostra condizione, condizione che mostra tutta la sua fragilità, fosse in contraddizione con la sua divinità e non ne fosse, invece, autentica trasparenza e rivelazione. È questo un motivo costante che ritorna nei vangeli: l’umanità di Gesù, la sua “normalità”, appaiono come un ostacolo al riconoscimento del suo essere figlio di Dio. Il dubbio è comprensibile: razionalmente è impossibile vedere Dio in un uomo. Ma anche in ciò è possibile scorgere lo “scandalo” del cristianesimo, il suo essere agli antipodi della “sapienza” umana. Il gesto compiuto da Gesù, moltiplicare ed offrire gratuitamente del pane a persone affamate, non è colto della gente come segno. Segno, in Giovanni è tutta l’opera del Nazareno, tutta la sua vita. Segno che rimane enigmatico fino a che lo Spirito del Risorto non ne rivela pienamente il senso. Quando diciamo che è necessario far incontrare il vangelo e la vita, la fede e la vita, non facciamo altro che accogliere quella che è la radicale dinamica del cristianesimo: Gesù è per la vita, la vita del mondo. Non un’altra vita, bensì questa che viviamo; non un altro mondo, bensì questo in cui viviamo, con le sue contraddizioni, le sue bellezze e bruttezze, i semplici gesti d’amore e le tremende esplosioni di odio.

La nostra vita è tante volte in affanno, spesso affamata, troppe volte forse alla rincorsa di cibi che non sfamano. Gesù di Nazaret è il pane della nostra vita, il suo nutrimento, il suo senso; la sua promessa di autenticità e di pienezza. Lasciamoci ancora sorprendere: sì, proprio lui, il figlio di Giuseppe, che per trent’anni ha condiviso la vita di tutti, che per tre anni ha percorso le strade di Palestina, è il pane della vita, della nostra vita; è pane per la vita del mondo, del nostro mondo. C’è in questa fede una consolazione grande che dovrebbe tattenerci del cadere nella disperazione dei momenti bui. Chi crede “ha la vita eterna”, ha cioè la vita piena, la vita pienamente felice. Non c’è nulla da fare, c’è solo da credere, cioè fidarsi senza riserve.