Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,1-8.14-15.21-23
Sembra di ascoltare i commenti delle noste brave signore all’uscita della Messa: “Ma queste ragazze di oggi che vanno vestite con i pantaloni abbassati e masticano gomme in chiesa, e i ragazzi con l’orecchino… ma come si comportano?”. Non che sia da disprezzare chi ha a cuore il decoro esteriore, che può essere segno del rispetto dovuto ad un luogo sacro, ma molte volte queste sono solo apparenze. Vivamo in un tempo in cui l’atteggiamento esteriore ci sconvolge, per noi cadere in una sciatteria che rasenta la trascuratezza con celebrazioni eucaristiche “farfugliate” in un quarto d’ora. La tradizione di per sé è cosa buona, ma va re-interpretata alla luce di un discernimento che mira all’essenziale. Con il termine “tradizione” si possono intendere alcune prassi ecclesiastiche, o alcuni pronunciamenti non legati alla Sacra Scrittura.
Ma la Chiesa come realtà terrestre è inserita in un tempo e in uno spazio ed è necessario che venga influenzata dalla cultura del tempo in cui vive. In quanto costituita da uomini e tenuta dal Signore! – deve camminare e farsi carico della storia immanente per parlare in modo adeguato agli uomini e alle donne di oggi. Certo, avere la regola da osservare ci rende il cammino più facile: se mi attengo a questo sono persona giusta. Ma le regole, seppur valide e necessarie per un mondo civile, sono per il Signore superate non abolite dal comandamento per eccellenza che è quello dell’Amore. “Ascoltatemi tutti e comprendete bene”: bello, autoritario e imponente questo Gesù che sembra uscire allo scoperto in maniera esponenziale, segno che quello che sta per dire è veramente di grande importanza! Infatti, ci libera dalla consuetudine passata, fatta di osservanze esteriori e ci “inchioda” alle nostre responsabilità: non quello che è esterno a noi ci contamina, ma ciò che è dentro. Domandiamoci allora come guardiamo le cose che ci circondano, perché dal modo in cui le guardiamo possono essere veicolo di compassione e di misericordia oppure di giudizio e di condanna. Il mondo e le cose non ci appartengono. L’idea del possesso ci induce spesso a dare per scontato l’avere un figlio, una moglie o un marito, una famiglia. La cupidigia, l’accaparramento delle cose e delle persone e, di conseguenza, la paura di perderle, ci condiziona l’intera esistenza. Seguiamo un Dio che ci ha fatto intravedere nel suo Figlio una persona da attingere in modo continuo e sapienziale ciò che è essenziale. Ma questo essenziale si può vedere solo con gli occhi del cuore.