Dio consegna a Mosè le “dieci parole” che non sono comandi, ma gli accordi di un patto nuziale che stipula una appartenenza d’amore tra Dio e il suo Popolo.
Tutto il cammino del popolo ebreo converge verso questo “codice di alleanza” che pone fine al tempo del fidanzamento e sancisce finalmente il matrimonio e l’appartenenza reciproca dei contraenti. Forse abbiamo pensato il decalogo come un semplice elenco di leggi da rispettare Se cosi fosse, la legge sarebbe solo un peso e non le ali che ci permettono di spiccare il volo della vita.
Gesù non è venuto ad abolire le “dieci parole”, ma a rafforzarle. Infatti è venuto a ricordare e ad assumere in maniera radicale, nei suoi giorni e nelle sue opere che la Parola di Dio deve sempre illuminare la nostra vita. L’architetto della nostra vita è Dio.
Egli ci conduce su ali d’aquila e ci ha nascosto all’ombra della sua faretra.
Il passaggio dalla religione alla fede è quando Dio diventa il “mio Dio”, in senso affettivo. Colui del quale non potrei fare a meno, necessario quanto l’aria che respiriamo e il sangue che scorre nelle vene.
Alla fine anche gli imperativi sono per ciascuno di noi, perché ciascuno di noi conservi l’abito nuziale, come uno steccato che mi impedisca di cadere nel vuoto.