XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 17 Novembre 2024

Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,24-32

Capita spesso, nella vita di tutti i giorni, di trovarsi in mezzo ad espressioni del tipo, “dove andremo a finire”, “stiamo attraversando veramente un brutto periodo”. Sembra che nell’opulento occidente si viva un momento di grande stanchezza: il catastrofismo è sintomo di realismo e i Tg fanno a gara nel presentarci gli eventi più infausti. I disillusi sono chiamati realisti.

Quelli  che hanno il coraggio di sperare invece sono gli illusi. O meglio, gli ingenui. E spesso questa mentalità ha pervaso anche noi cristiani.

Nel vangelo che la liturgia ci propone, Gesù parte da un fatto, da ciò che accadrà. Parla di una grande tribolazione e descrive eventi cosmici sconvolgenti. Tutto nella logica: hanno ragione i profeti di sventura che abitano vicino a noi. Che abitano in noi. Ma all’improvviso il discorso assume un tono nuovo, inaspettato, sconvolgente: è il bagliore della risurrezione: È la novità che non ti aspetti. Ad ogni credente afflitto che invocherà Maranathà, Gesù non tarderà a manifestarsi in tutta la sua gloria. E il bagliore lascia il posto ad un’immagine bellissima: quella del fico, l’albero che fa i primi e gli ultimi frutti dell’anno. Una pianta che dona frutti tutto l’anno.

È l’albero della croce. A leggerlo bene è un passo che parla proprio a ciascuno di noi. Non può lasciarci come ci trova. Gesù viene a scovarci dove siamo, con i nostri lamenti, il nostro essere intonati così al grande coro dei “realisti”, col nostro deficit di speranza. Non ci parla di un mondo ideale, di un mondo perfetto, che non esiste. Ha i piedi piantati per terra. Su questa Terra. Ci viene incontro e ci domanda: “Dove poggia la vostra speranza?”.

Già, dove poggia la nostra speranza? L’impressione è che ci nutriamo di tante, fallaci, piccole speranze che poggiano per terra. Che hanno le gambe di terra. Si sgretoleranno. Passeranno.

“Le mie parole non passeranno”, dice invece Gesù. Quanta grazia, quanto bene, quanta gioia dà alla nostra vita una parola del vangelo vissuta per amore. E grazie al suo amore. È l’esperienza decisiva per la nostra vita per amore. E grazie al suo amore. È l’esperienza decisiva per la nostra vita di fede. È l’esperienza del “c’è pià gioia nel dare che nel ricevere”, del perdono donato che porta la vera libertà, della castità che ci fa assaporare fino in fondo la tenerezza e la grandezza dei piccoli gesti. Ma non è come andare in bicicletta. Non si impara una volta per tutte. L’affidamento alla sua Parola richiede un sì quotidiano a Gesù, che non si stanca di aspettarci per donarci il nutrimento vitale della Parola e richiede un piccolo passo da parte nostra.

È solo questo il momento in cui la smettiamo di credere alla sua risurrezione come ad un fatto lontano, che non tocca la nostra vita e iniziamo a sperimentare che, se risorto, Gesù è vivo. E, se vivo, continua ad operare, a sanare, a donare gioia.