(1917-1980)
“Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio”. Queste parole sacramentali, con tutta l’audacia che promanadalla Fede e dalla certezza di sperimentare realtà interiori, mi si sono formulate dentro l’anima, nel silenzio di quegli istanti di grave smarrimento e di arcana solennità che sono seguiti al momento in cui Don Ignazio Sgarlata cessava di vivere. Erano le ore 12 circa del 17 marzo 1980. Mentre compivano la pietosa opera di rivestirlo, al vedere le sue carni martoriate, ridotte come quelle di Cristo deposto dalla croce, come un autentico Cristo della Pietà, quelle parole prendevano il senso pieno di vita totalmente sacrificata, come quella di Cristo sacerdote, in offerta al Padre per la redenzione del mondo. Se il sacerdote è un altro Cristo, Don Ignazio fu un altro Cristo crocifisso. Gli ultimi lunghi mesi portarono all’atroce compimento il Calvario, che era durato quasi nove anni: diagnosi, interventi, speranze, cure esercizi, riprese, miglioramenti, ricadute, ultimi disperati tentativi… Una misteriosa e dolorosa volontà del Signore si andava chiaramente manifestando: era la fine.
Don Ignazio Sgarlata era nato a Chiusa Sclafani il 07 ottobre 1917. Crebbe e fu educato ai valori umani e cristiani della vita da genitori esemplari, di cui serbò sempre un ricordo entusiasta. Del papà, soprattutto, il signor Domenico, che ebbe sempre vicino nei suoi anni sacerdotali, imitò le rare virtù di uomo saggio, prudente e giusto e di lui ammirava la grande statura morale: “Appassionato al suo lavoro, attaccasissimo alla famiglia, aveva gusti semplici e sani, non guasti dal “progresso”. Un galantuomo insomma del buon stampo antico”.
Aveva soltanto 19 anni quando perdette la mamma: ne sentì tutto lo strazio, ma seppe accettare la volontà dal Signore adorando gli infiniti disegni di Dio.
Entrato nel Seminario Arcivescovile di Monreale il 30 settembre 1930, vi compì tutti gli studi dal Ginnasio al Liceo, al corso Teologico, in preparazione al Sacerdozio, cui si sentì chiamato fin dai suoi giovani anni.
Il 07 giugno 1941 riceveva l’Ordinazione sacerdotale. Periodo bellico, Don Ignazio tornò subito a Chiusa Sclafani, dove lavorò a fianco dal’Arciprete Mons. Antonino Palmeri per tre anni. Venne poi chiamato a Monreale nel 1944 per insegnare Lettere al Ginnasio e in seguito Letteratura italiana al Liceo e per prendere la direzione della Schola Cantorum del Seminario.
Il 15 giugno 1948 fu nominato Mansionario della Cattedrale e il 1° Maggio 1959 fu eletto Canonico del Capitolo Metropolitano di Monreale. Don Ignazio fu sacerdote pienamente e totalmente dedito alla sua missione di ministro della Grazia, maestro della Verità e testimone convinto della Fede nel soprannaturale. A Chiusa Scalafani, dove iniziò il suo apostolato sacerdotale, e a Monreale, dove fu Cappellano delle Suore di Sant’Anna e Rettore della chiesa annessa all’Istituto S. Cuore di Gesù, diede il meglio della sua ricchezza interiore nella predicazione, nelle confessioni, nella guida spirituale, nell’educazione al canto gregoriano e liturgico.
Sono innumerevoli le testimonianze di persone, allora ragazze educate nell’Istituto S. Cuore di Gesù, o sacerdoti o ex alunni del Seminario o gente che dal suo sacerdozio ricevette tanto bene e i germi di una autentica formazione cristiana, che riconoscono in lui il sacerdote esemplare e il degno ministro di Cristo Salvatore.
Cercò sempre la Verità, fino in fondo, per appagare, fin dove possibile, le esigenze del suo intelletto acuto ed insaziabile, ma si dichiarò sempre figlio devoto della Chiesa e mai si discostò dall’insegnamento ufficiale dei Sommi Pontefici e dei Concili.
Pur esprimendosi talvolta con la vivacità tipica della sua intelligenza aperta e libera, nella ricerca attenta mantenne inalterata la sua Fede, che era dono dello Spirito ed era sua conquista, raggiungendo un sereno equlibrio che gli creava le certezze di cui viveva.
Accettò e visse la povertà sacerdotale senza mai recriminazioni o rivalse e senza la minima ostentazione.
Visse umilmente nel nascondimento e dinanzi alla pubblicità stava a disagio. Don Ignazio fu un artista. Di ingegno versatile e pronto, originale nelle sue intuizioni, fu geniale in tutte le sue creazioni.
La narrativa, la musica, la poesia, il teatro, l’oratoria erano le vie principali che gli permettevano l’espressione migliore di se stesso.
Fu scrittore elegante, arguto, agile, brioso di novelle, bozzetti e articoli, che si pubblicarono su «La buona semente», «La voce del Seminario» ed altre riviste.
La musica in tutta la sua potenza espressiva lo conquistò fin dai suoi giovanissimi anni ed ancora seminarista cominciò a comporre, scoprendo la sua particolare inclinazione e abilità per la musica lirica.
Oltre agli inni, ai mottetti, alle composizioni religiose e liturgiche, è degli anni del Seminario il piccolo melodramma «Tarcisio» su libretto suo e del collega D. Antonino Cassata. E poi fu la musica alle liriche di Mons. Giuseppe Petralia e poi i mottetti polifonici su testi sacri e tante altre composizioni, sempre fresche, melodiche, tipiche della sua vena musicale così ricca e gradita.
Fino alle ultime composizioni vibranti di dolore e di speranza su testi di Giobbe, quando con sforzo e sovraumana energia di volontà si rimise al pianoforte a suonare, a comporre, a pregare, a piangere…
Fu poeta autentico. Sensibile, aperto, amava la natura, i fiori, i bambini, la vita… Visse di poesia vera, quella fatta di sguardo scrutatore delle realtà contingenti e metafisiche, della vita, degli uomini, dei loro sentimenti e dei loro problemi, espressa con le parole crude ed essenziali, tavolta lancinanti, spesso meste e pensose, tante volte dolci e carezzevoli di chi sapeva cogliere, al di là della superficie e delle apparenze delle cose, il senso vero, ed il valore nascosto degli avvenimenti.
Scrisse molte poesie: in esse traluce l’animo del poeta, ingenuo e semplice come un fanciullo, con gli occhi facili all’incanto ed alla meraviglia… giovane pieno di fiducia e di speranza… uomo con l’amarezza dell’esperienza dinanzi all’infrangersi dei sogni belli della vita…
Fu regista esperto di valide filodrammatiche giovanili, dentro e fuori del Seminario, che si esibirono con successo sotto la sua guida.
Ottimo parlatore, lo si ascoltava con piacere quando parlava in conferenze, lezioni, omelie, accademie. La sua parola, semplice e ricca, calda e convincente, conquistava tutti, perché trasmetteva pensiero e spingeva alla meditazione.
Il Seminario si può ben dire che fu il luogo, dove Don Ignazio passò la quasi totalità del suo tempo e della sua fatica sacerdotale. E nel Seminario ci lasciò il cuore. Dato il suo genio musicale, appena tornato a Monreale, ebbe subito l’incarico di curare la Schola Cantorum del Seminario: ed egli con l’accanimento dell’ ”autore” vi profuse le sue migliori energie, impegnandosi con serietà e con estrema, ammirevole pazienza. A principio dell’anno scolastico sceglieva le nuove voci e poi, con certosina opera di casellatura, portava il gruppo a meravigliose esecuzioni corali e polifoniche in Cattedrale e fuori Monreale, tanto da destare la più viva ammirazione degli ascoltatori. Le “Messe”, i mottetti, il grande “Magnificat”, i responsori, gli inni, le mille composizioni stanno a testimoniare la fervida produzione di un cuore sacerdotale, che, cantando, pregava e metteva a profitto e a beneficio dei fedeli le ricchezze del suo estro musicale religioso. E camminò coi tempi: cambiata la lingua nei testi liturgici, fu tra i primi a musicare una Messa in italiano, che varcò felicemente i limiti della Diocesi, eseguita in molte città del territorio nazionale. Negli ultimi mesi scrisse il testo musicale per i salmi responsoriali di tutto un anno liturgico. Nel Seminario fu anche Direttore Spirituale intorno agli anni ’50. Sacerdote dotto, di vera vita interiore, concreto e prudente, senza facili illusioni, diceva chiaramente il suo pensiero, guidando con fermezza, educando in profondità. Soffrendo assieme al giovane i problemi della crescita e della scoperta del disegno di Dio, dava la certezza che sapeva compatire e camminare assieme. E questo gli procurava tanta gioia sacerdotale. Nel Seminario fu Professore di Lettere Italiane nel Ginnasio-Liceo per lunghissimi anni, formando nella cultura umanistica intere generazioni di sacerdoti e professionisti. Nell’insegnare Letteratura, nel commentare Dante e i classici, fu serio, onesto e leale. Si preparò a fondo, studiando da abile critico confrontando le sue intuizioni originali e i suoi studi con quelli precedentemente fatti da altri, sviscerando autori ed opere, spingendo gli alunni ad una conoscenza diretta, anche se inizialmente guidata, dei singoli scrittori.Faceva gustare con particolare abilità le composizioni dei diversi poeti, presentandoli nella loro interezza di pensiero, e, quando necessario, criticandone le affermazioni, specie se derivanti da filosofie non ortodosse. Mentre estremamente aperta, si mantenne sempre al corrente, anche quando smise di insegnare, di tutto il pensiero contemporaneo, soprattutto in filosofia, teologia e letteratura. Ancora a letto, negli ultimi anni, leggeva recentissimi volumi di studi sociali. Aggiornatissimo, affrontava le questioni trascinando nell’interesse tutti gli alunni, che lo stimavano e lo preferivano ad altri. Rimase sempre legato al Seminario e, finchè potè, vi ritornò volentieri. Recentemente, pur trasportato a braccia, venne a trascorrervi la giornata del suo onomastico e un incontro festoso con amici ed ex alunni.
A Chiusa Sclafani, dove lo abbiamo accompagnato, dopo la Messa celebrata nella chiesa di Santa Maria, in corteo scendevano attraverso le strade strette del paese, mentre le note patetiche e tristi della banda musicale esprimevano il dolore e la preghiera di tutti nel silenzio immoto circostante. Le numerose congregazioni precedevano; poi i sacerdoti, poi Lui, Don Ignazio, in lento cammino per l’estrema dimora, e dietro tanti, tanti amici e fedeli. Sollevando lo sguardo, appena fuori le case, all’orizzonte, su un cielo grigio e piovoso, notai, nettamente stagliati in cima a una collina verde, a ridosso del paese, una croce e, poco distante, un albero solitario, Mi sembrarono un segno.
Ogni terra è un calvario e su ogni calvario è piantata una croce. Don Ignazio mi sembrava il crocifisso, schiodato dalla croce della vita e portato al luogo del suo eterno riposo. Ma dal seme sotto terra è parola di Cristo vien fuori un arbusto, un albero, capace di ospitare, gli uccelli del cielo e dare i suoi frutti ai passanti. È il chicco di frumento che deve morire per portare frutto. Quel triste tramonto di una giornata di dolore, è più ancora il tramonto di una vita sacerdotale, mi si è impresso nella memoria con l’immagine sfumata di quella croce e di quell’albero; ma al di là di essi, vedevo il carissimo Padre Sgarlata, sacrificio sul monte, sorgente di bene e di frutti per la Chiesa, libero ormai dal morso della sofferenza, nella infinita pace di Dio, possesso eterno e premio di una vita a Lui pienamente consacrata.
Mons. Francesco Sparacio.
(Da “La Voce del Seminario” Arcivescovile di Monreale Gennaio Marzo 1980)