(1890-1935)
Nasce a Corleone il 06 novembre del 1890 e viene battezzato nella chiesa madre dal Canonico Antonino Palermo il 21 novembre dello stesso anno. Da Mons. Gaspare Bova Vescovo di Samaria e Vicario Generale dell’Arcidiocesi il 25 maggio del 1899 riceve il sacramento della confermazione ed il 15 settembre del 1900 entra “nell’Istituto dei rossi”, il presemina rio istituto a Corleone dal Benemerito Sac. Lipari Salvatore decano di Corleone dal 18 luglio del 1900 e fino al 1904. Il 23 ottobre del 1907 passa nel seminario maggiore di Monreale e al termine dell’anno scolastico 1911-12 supera la maturità classica con buon rendimento. Il 21 dicembre del 1912 nella Cappella del Palazzo Arcivescovile di Monreale riceve la tonsura e gli ordini minori di ostiario e di lettorato. Diventa accolito l’11 gennaio del 1914, diacono il 12 marzo del 1916 e dopo due giorni Sacerdote per l’imposizione delle mani di S.E. Rev.ma Mons. A.A. Intreccialagli Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi.
Il sacerdote novello celebra la prima messa, a Corleone nella chiesa di Sant’Agostino. Inizia il suo ministero presbiterale come rettore della chiesa dei Cappuccini e nel 1925 rettore della chiesa di Santa Maria, dove fonda “l’oratorio maschile” ed il circolo di Azione Cattolica “San Luigi”. Il 22 dicembre del 1929 viene nominato parroco della nuova parrocchia di Sant’Elena e Costantino. Nel 1934 viene colpito da una incurabile malattia e muore il primo marzo del 1935. Don Salvatore Governali è stato l’esempio tangibile di come un uomo, frutto della povertà storica può diventare protagonista duraturo della “povertà delle Beatitudini” Corleone che vanta secoli di storia e spesso di emarginazione ha meritato questo Sacerdote accrescendo cosi la schiera di Santi, Beati e Servi di Dio quali San Leoluca, San Bernardo, Fra Girolamo, Madre Maria Teresa Cortimiglia…
Don Salvatore Governali, un sacerdote pieno di Cristo e di umanità, che possedeva una doppia capacità, da un lato di servizio, di guida, di amicizia e di offerta quotidiana, dall’altro di consenso, di aggregazione, di risposte. Un sacerdote con tanti meriti di fronte a Dio ed alla storia, che ha saputo incarnare ed anticipare il ministero presbiterale del terzo millennio. Padre Governali non appartiene né ad una parrocchia, né ad un quartiere né ad un paese, bensì all’intera chiesa.
Quel santo sacerdote…. Quel sacerdote santo
Conferenza tenuta dal Dott. Nino Barraco il 22 marzo del 1987 a Corleone. Ritrovarci a parlare di un sacerdote, di più, di un sacerdote santo, cosi come si disse a Corleone quel primo marzo 1935; “ È morto il santo sacerdote! “ significa ritrovarci nel mistero, nell’inesprimibile del mistero, lasciarci interrogare, possedere dal mistero.
1 Mistero
Mistero di ogni uomo. Siamo circondati dal mistero. Viviamo nel mistero. Siamo noi stessi mistero. Chi può dirci quale sarà domani il volo degli uccelli? Chi può dirci dove affondano le nostre radici? Mistero dell’uomo. Mistero del sacerdote, di ogni più piccolo sacerdote sulla terra. Si, tu lo conosci, lo chiami per nome, gli sei amico. Eppure, egli è, egli resta un mistero. Un mistero a se stesso. Chi è il sacerdote? Paradossalmente, vorrei dire, neppure lui lo sa. Mistero di una chiamata. Mistero di una risposta. Mistero di una realtà più grande. Egli, piccolo, debole, peccatore, chiamato ad annunziare la straripante presenza di Cristo in mezzo a noi, ad essere il protagonista della vertenza dell’essere, a dare ragione della speranza al mondo.
2 Mistero l’uomo, mistero il sacerdote.
Mistero questo sacerdote santo. Siamo davvero grati al dott. Magnano per averci dato questa biografia di don Salvatore Governali. Una biografia scritta da Mangano per amore. Amore alla Chiesa. Amore alla città di Corleone. Amore al futuro. Amore alla Chiesa. Questa Chiesa di Monreale che ha avuto, a partire dell’inizio del secolo, una stagione felicissima del suo presbiterio: Mons. Giovanni Bacile a Bisacquino, Mons. Tommaso Mannino a Carini, Don Salvatore Governali a Corleone. Una Chiesa, polo di cultura umanistica, filosofica, teologica, di esperienza ecclesiale, pastorale, di notevole riferimento. Amore a questa città di Corleone. Crocevia di una meridionalità, di bisogni di tensioni ma anche di servizio, di santità. Una sanità espressa da un San Leoluca, da un San Bernardo, da una Madre Teresa Cortimiglia, da un fra Girolamo, da un don Salvatore Governali. Amore al futuro. La fatica di Mangano assicura alla storia quello che la fretta del nostro correre ci farebbe dimenticare, ingiustamente e troppo presto. Egli fa storia, memoria, ma la memoria storica di Mangano è apertura al futuro, è missionarietà di progetto, è passione profetica per il domani.
3 Un domani di cui il mistero di Don Governali costituisce segno, immagine, parabola, novità di Chiesa.
Egli è pastore del suo gregge. Ma sa di dover restare uno con il suo popolo. Egli è maestro come i santi. Ma ha l’umiltà dei santi. Egli è resurrezione per quanti lo accostano. Ma rimane l’uomo solidale con i dolori della sua gente, con la croce di chi soffre. Egli è l’uomo mandato da Dio, inviato da Dio, per costruire la sua chiesa la «plantatio ecclesiae» con lo zelo, il cuore profetico degli uomini biblici. L’autore sottolinea un parallelo sorprendente. Come Francesco a San Damiano, cosi don Governali ripara, è chiamato a ricostruire la Casa del Signore. Ecco la chiesa dell’ex convento dei Cappuccini, che Don Governali trasforma in un centro palpitante di vita e di spiritualità. Il Terz’Ordine Francescano attesta, ancora oggi, la lunga, paziente, amorosa attività di questo novello sacerdote. Ma non soltanto la Chiesa dell’ex convento dei cappuccini. Egli sembra inviato da Dio là dove c’è una Chiesa da riparare. E così, solleva da uno stato di degrado e di abbandono un’altra Chiesa, la Chiesa di S. Maria di Gesù, dove riparare non basta. C’è bisogno di gente, di vita, di Cristo. E le campane suonano alleluia. E alle funi di queste campane si aggrappano i giovani. I giovani di Azione Cattolica, dell’Oratorio, del Circolo S. Luigi, gli Esploratori. Egli come è stato testimoniato «vuole salvare la gioventù di Corleone». Egli sacrifica anche il viaggio in America per questi giovani. E ci sarà, poi, la parrocchia di S. Elena e Costantino, la «pupilla dei suoi occhi». Si domanda Mangano: « Cristo si è fermato alle porte di Corleone, oppure vi è penetrato fortemente, per mezzo di Padre Totò?». L’asilo per i bambini a sue spese, la carità per i poveri, l’armadio dei bisognosi. È sempre lui, gracile, due occhi profondi e vivaci. Alla ricerca dei deboli, degli ultimi, per incominciare dagli ultimi. È la sua appartenenza ai fratelli. Quando si moriva di povertà e di pidocchi. Ma è una appartenenza ai fratelli che esprime la sua appartenenza totale, radicale, a Cristo. La sua intimità profonda in Lui. La vita di don Governali è: una vocazione all’altare, in unione adorante con Cristo, una povertà vissuta sulla linea delle Beatitudini, un ministero sacerdotale ribattuto sui chiodi del Crocifisso.
4 Una vocazione all’altare.
Dicono le testimonianze: «Egli celebrava la S. Messa senza fretta, assorto nel Signore, specialmente durante il momento della consacrazione, sempre commosso, e spesso si vedeva piangere». Senza fretta, assorto e commosso. Certo! Siamo noi che abbiamo trasformato l’Eucarestia in una liturgia di abitudine. Una liturgia che non passa più per il cuore. Una liturgia meccanica, fredda, cerebrale, cosistica. Ricordo sempre l’esclamazione di quell’uomo senza fede, che, dopo aver incontrato il Curato d’Ars, confessa: «ho visto Dio in un uomo».
5 Una povertà di Beatitudine.
Don Governali è povero. È una testimonianza preconciliare di una chiesa povera. Quando a sera tardi, arriva a casa, « deve rifare il letto, fatto di un materasso che poggia su di un piano di legno pieghevole e ribaltabile, su cavalletti di ferro». È povero. Ma la sua povertà è ricchezza di Cristo che annunzia, che comunica a tutti, agli ammalati soprattutto. È pace che stabilisce nelle famiglie. È servizio, guida, aggregazione, capacità di fare cultura, di suscitare fede. È serenità, soccorso, dolcezza per tutti: « io sono il Parroco, e questo nome racchiude tanta paternità».
6 Un ministero sacerdotale in croce.
Mangano sottolinea giustamente la dimensione oblativa della vita di don Governali. La predicazione di questo sacerdote è Cristo. E Cristo Crocifisso. Anche qui, una provocazione, certamente, per questo nostro tempo. Un tempo che ha rifiutato la croce, il sacrificio, che ha proclamato il più pernicioso, assoluto, diritto alla felicità. Un tempo che crolla ogni giorno, per essenza di coraggio, di tensione, per debolezza di mente. Don Governali torna, a sera, stanco. E legge e prega davanti al suo Crocifisso. Si alza alle sei del mattino, perché, prima della Messa, deve visitare qualche ammalato, carne di Cristo sull’altare di ogni giorno. Egli stesso si distende sulla croce. Ostia per tutti. Con amore. Con confidenza nella volontà amabilissima di Dio. Con grande purezza, quella purezza che era innocenza del sorriso, serenità dell’anima, mistero di tutta la sua persona. Aveva scritto «comprendo bene che quello del parroco non è un mestiere né una professione, ma un apostolato». Un apostolato in croce. Egli che teneva stretto al suo corpo, come attesta il medico curante, il cilicio, strumento di mortificazione, di croce. Egli che, inchiodato a letto da una cardiopatia scompensata, lontano, a Tagliavia, confida: «Accetto tutto come prova. Quello che mi dispiace è il non poter celebrare o fare la S. Comunione». Egli che redime il soffrire come il passaggio obbligato della Pasqua. E come Pasqua, come festa, vuole il viatico in quella mezzanotte di febbraio. E che tutti tengano la candela accesa in mano!
7 Disse, allora, l’Arcivescovo di Monreale: « Con il Parroco Salvatore Governali scompare una delle figure sacerdotali più nobili dell’Arcidiocesi».
Una vita che appartiene al cuore della Chiesa, alla città di Corleone, al futuro della storia. Una vita che ci interpella, che ci provoca, che misura la nostra responsabilità di oggi. Si, abbiamo bisogno di profeti che sappiano testimoniare:
la povertà del viaggio
il coraggio della croce
la sfida dell’amore
il rischio della speranza
il futuro dell’aldilà.
La povertà del viaggio. Certo, ci vuole pazzia per giurare, per lottare, per pensare ad un giorno che non è mai esistito. Ci vuole pazzia per rinunziare alla «logica» che ha tante buone ragioni, ma che ti impedisce la libertà di grandi atti di coraggio. Ci vuole pazzia per dire basta, quando la barca si va riempiendo di tante cose inutili, quando questo cancro dei bisogni offende la misura dei fratelli. Ci vuole pazzia per scegliere una vita in diminuzione, un progetto proporzionato alla provvisorietà del viaggio. Ci vuole pazzia per ritrovarsi nel giorno dei deboli. Ed è sofferenza, ed è paura. Ma è una pazzia obbligata. Il coraggio della croce. Abbiamo tolto ogni sforzo, abbiamo eliminato ogni ostacolo, abbiamo facilitato ogni traguardo, ci siamo educati al permissivo, alle concessioni. Si è costruita la cultura, l’elogio “del pensiero debole”. Oggi ci accorgiamo dei danni incalcolabili, derivati dalle nostre comodità. Siamo in preda di tutte le fragilità, di tutte le crisi, di tutte le superficialità. Senza progetto. Senza legami. Senza durata. Senza decisione. Lo dico, confessando le mie paure, i miei peccati, ma non c’è storia della salvezza se non è misurata ai bracci della croce. La sfida dell’amore. No, io non penso che siamo alla fine del mondo. Però è vero che siamo sotto il morso biblico di tutte le violenze, di tutte le ispirazioni, di tutte le piaghe. Solo l’amore può salvare il mondo. O amare o scomparire. Il rischio della speranza. Credere che non è la fine. Avere occhi grandi. Giurare che l’umanità cammina verso la sua riuscita definitiva. Nonostante tutto. Nonostante tutte le prove contrarie. Saper leggere la speranza nelle tante realtà positive, culturali, sociali, più forti del dubbio, della sfiducia del male. Saper giurare sulla speranza cristiana, Cristo risorto è presente in mezzo a noi. Il futuro dell’aldilà. Abbiamo bisogno di profeti dell’essere del futuro. Profeti che ci parlino del nostro arrivare. Il che significa valutare al massimo questa vita nel tempo, ma senza confonderla come definitiva, senza pretendere di fare sintesi nel prodotto della storia. Essere storicamente impegnati, eppure uomini di contemplazione. Essere annuncio profetico dell’aldilà, della vocazione definitiva della vita, in continuità con la situazione presente. Il motivo del nostro esistere è in questo arrivo. È il futuro che ci spiega.
8 È grande dono di Dio ritrovarci questa sera insieme.
Grande dono poter rifare l’esperienza di quel giorno, quando il popolo, arrivato al cimitero, volle che, ancora una volta, la bara di Don Governali venisse aperta « per mirare quel sembiante che rifletteva una tranquillità e dolcezza di paradiso». Grande dono, per il quale diciamo: grazie o Signore!
Bibliografia
AA.VV. Ricordando Don Salvatore Governali – Voce del Seminario
Arcivescovile di Monreale – Aprile giugno 1987