I tempi dell’anno liturgico sono in profonda relazione tra di loro. Ecco perché la liturgia prevede che proprio nella solennità dell’Epifania la Chiesa canti l’annunzio del giorno della Pasqua. Il Natale infatti, sottolinea san Leone Magno, celebra l’exordium della Pasqua, l’inizio della nostra redenzione, che culmina proprio nella Settimana Santa e nel Triduo Pasquale.
La Domenica delle Palme e della Passione del Signore apre le celebrazioni della Settimana Santa. L’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, rivissuto nella processione dei fedeli con i rami di palma e di ulivo e con il canto dell’Osanna, è il riconoscimento della regalità messianica di Cristo, che va ben oltre gli schemi umani. Gesù infatti va incontro volontariamente all’offerta totale di sé sulla croce; entra nella città piena di contraddizioni, che accoglie festosa il Messia, ma che allo stesso tempo lo condanna ai supplizio della croce per essersi manifestato come il Verbo incarnato. Ecco la regalità di Cristo: la “portantina” del re diventa l’asino che lo accompagna nei primi passi verso la morte; il suo regnare diventa il servizio (servire regnare est!), iconizzato nella lavanda dei piedi del Giovedì Santo, quando la Chiesa celebra il dono sacramentale dell’Eucarestia, offerta del suo corpo e del suo sangue. L’Eucarestia è un dono che si perpetua nel servizio sacerdotale dei presbiteri, che continuano a spezzare e a moltiplicare il pane della Salvezza perché tutti possano mangiarne a sazietà (cfr. Lc 9,17). L’Eucarestia non è altro che prefigurazione del dono che si completa il Venerdì Santo. In quel giorno, la Liturgia della Parola, nel Quarto canto del Servo del Signore (Is 52,13-53,12)e nella Passione secondo Giovanni (Gv 18,1-19,42), ci offre l’immagine di Cristo che, seppure nel supplizio, o forse proprio nel supplizio, trionfa e dimostra la sua vittoria. Dal trono della croce, scaturiscono gioia e redenzione per tutto il genere umano, come suggerito dal canto all’Adorazione della croce: «Adoriamo la tua croce Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa resurrezione. Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo». Una gioia che nasce dalla certezza della Salvezza che raggiunge ogni uomo, di qualunque classe e categoria, di cui la Preghiera universale rappresenta una splendida sintesi. Una Salvezza che non ha data di scadenza ma che anzi è retroattiva, come ci ricorda la seconda lettura dell’Ufficio delle letture del Sabato Santo, ripresentandoci la discesa agli inferi di Cristo per trarre fuori coloro che erano prigionieri della morte: «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo, egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione». E la gioia della vittoria di Cristo sulla morte, della luce sulle tenebre prorompe in grida di giubilo con il Canto dell’Exultet la notte di Pasqua, “madre di tutte le veglie”. Madre perché è la più importante dell’anno liturgico, in quanto genera la luce del Risorto. Ma madre anche perché genera alla vita i nuovi cristiani nel lavacro battesimale, nell’unzione crismale e nel banchetto dell’Eucarestia.