FRANCESCO GAJOWNICZEK e PADRE KOLBE ad AUSCHWITZ
Verso la fine di luglio del 1941, nel lager nazista di Oswiecm, ribattezzato dai tedeschi Auschwitz avvenne un fatto unico nella storia di quel campo di sterminio, un detenuto era riuscito a fuggire e secondo una disposizione vigente allora, dei suoi colleghi vennero condannati a morire di fame, in uno dei “block” in cui era suddiviso il lager. Tra questi c’era anche un padre di famiglia Francesco Gajowniczek, che quando senti pronunciare il suo nome incominciò a piangere a dirotto pensando a sua moglie e ai suoi due bambini che non avrebbe più rivisto. Ma rimase in vita perché un frate francescano, padre Massimiliano Kolbe, si offrì di morire al suo posto e il suo sacrificio fu accettato dal comandante del lager. Francesco Gajowniczek nel 1971 raccontò a dei gornalisti tra cui Angelo Montanati, la sua incredibile storia dicendo che quando militava nell’esercito partigiano, nel luglio 1941 era stato condannato a morte per tradimento… ma l’esecuzione non avvenne. Salvato da padre Kolbe rimase nel lager, perché ammalato di tifo, un medico polacco lo curò ed egli dopo tempo guarì. Durante la ritirata dei soldati tedeschi, gennaio 1945, venne rifatto priogioniero ma riuscì a fuggire insieme con un altro compagno.
Questo sopravvissuto Francesco Gajowniczek nel 1971, ritornando nel campo di Auschwitz mostrò ai suoi accompgnatori il posto che da quell’otto novembre del 1940, il block numero 14, abitava insieme con altri prigionieri addetti ai lavori più umili.
Verso il 28 o il 29 luglio, P. Kolbe fu trasferito nel block 14 e dopo alcuni giorni con la fuga di un prigioniero, vennero scelti dieci uomini per rappresaglia, tra i quali Francesco Gajowniczek, fu allora che padre Kolbe si offrì vittima al suo posto, meravigliando tutti, compresi i nazisti. Dopo due settimane, il 14 agosto, in quel bunker erano vivi ancora in quattro, ma il frate era l’unico in grado di parlare. Pochi minuti dopo furono tutti uccisi con una iniezione di fenolo. Il suo gesto è segno della sua grande fede, del suo amore senza misura in Dio, riversato sui fratelli. Alla sua beatificazione avvenuta a Roma, con Papa Paolo VI il 17 ottobre 1971 partecipò anche Francesco Gajowniczek e Padre Kolbe venne additato ai sacerdoti come modello di vita consacrata. Giovanni Paolo II il giorno della canonizzazione ripetè quanto aveva detto durante la sua vita ad Auschwitz: “Massimiliano Kolbe fece come Gesù, non subì la morte, ma donò la vita”. Dio è anche ad Auschwitz così aveva scritto P. Kolbe alla sua mamma per rassicurarla rassicurandola e in una altra lettera parlava della vocazione al martirio anche una pallottola in testa avrebbe suggellato il suo amore all’Immacolata, e avrebbe sparso il suo sangue fino all’ultima goccia, per affrettare la conquista del mondo a Maria, madre di Gesù è della Chiesa.