Abbiamo ancora negli occhi il bagliore della luce del cero, acceso al nuovo fuoco benedetto nella Veglia pasquale. Questo permanere della luce continua e si espande per cinquanta giorni, fino a culminare nel dono del fuoco eterno dello Spirito la domenica di Pentecoste. I giorni che si succedono dalla domenica di Resurrezione vengono celebrati dunque nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, come “la grande domenica”. Ciò si nota già dal nome attribuito alle domeniche che, contrariamente a quanto avveniva prima della riforma liturgica (quando venivano chiamate domeniche “dopo Pasqua”), sono identificate dal Messale come domeniche “di Pasqua”: in quanto per cinquanta giorni estendono il mistero della resurrezione di Cristo, centro di tutta la fede cristiana. Un rapporto profondo, tra la Veglia e la cinquantina pasquale, si nota già nei primi otto giorni del tempo di Pasqua: dopo aver fatto esperienza liturgica dei sacramenti, ai neobattezzati vengono rivolte le catechesi battesimali, con le quali i misteri celebrati sono approfonditi, e spiegati. A tal proposito, Cirillo di Gerusalemme affermerà: «da molto tempo, cari figli diletti della Chiesa, desidero occuparmi con voi di questi secreti dello spirito e del cielo. Ma poiché so bene che si crede più facilmente ciò che si vede che ciò si ode, ho atteso pazientemente questo momento. Ora vi trovo disposti, al termine della vostra esperienza pasquale, ad ascoltare le mie parole e a prenderci per mano verso i prati luminosi e profumati della nostra beata eredità» (Catechesi 19,1: PG 33,1065 A). Le domeniche che caratterizzano questo tempo presentano le icone evangeliche giovannee che meglio esprimono e testimoniano il mistero pasquale di Cristo. Nell’incontro del Risorto con il discepolo Tommaso (II domenica), Cristo conferma la fede anche di chi “ crede di non credere”, ma è sempre alla ricerca di Dio. Gesù appare ai suoi sul mare di Tiberiade e, dopo averli saziati, affida a Pietro la sua Chiesa, nonostante la “nudità” della sua paura e miseria umana (III domenica). Ancora, abbiamo il richiamo all’ascolto della parola del buon Pastore, che conduce il suo gregge ai pascoli della vita eterna (IV domenica). Il comandamento dell’amore diventa il testamento dei Cristo per coloro che vogliono essere i suoi discepoli (V domenica). Gesù infine preannuncia il dono dello Spirito e prepara la sua Chiesa alla Pentecoste (VI domenica). Con la solennità dell’Ascensione del Signore, la chiesa inizia a staccare i propri occhi da ciò che è terreno, mutabile, per rivolgerli al cielo, verso colui che è eterno. È il gesto stesso di Gesù che, « mentre li benedica, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Lc 24,51). Il tempo pasquale perciò ci conduce pedagogicamente dalla fede di Tommaso, che ha necessità di riscontri materiali per credere nella resurrezione di Cristo, alla fede dei discepoli, che «stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava»(At 1,10), coscienti che la fede è un dono che non viene dal basso. I discepoli infatti saranno «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49). È il dono dello Spirito,. celebrato a Pentecoste, capace di spalancare le porte del cuore dell’uomo e di aprirle alla testimonianza, perché «quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita (…) noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1,1.3).