Ho avuto la fortuna di partecipare, come uditrice, al Sinodo ordinario sulla famiglia che si è tenuto nell’ottobre di quest’anno. È stata un’esperienza molto interessante, soprattutto perché la partecipazione di cardinali e vescovi provenienti da tutto il mondo faceva veramente respirare il carattere mondiale della Chiesa e la capacità che ha dimostrato lungo i secoli di saper coniugare dottrina evangelica e culture locali, spesso molto diverse tra loro. Infatti, se anche oggi la famiglia è in crisi in tutto il mondo, lo è in modo diverso. In una situazione caratterizzata da sempre più consistenti spostamenti di popoli dai loro luoghi di origine, si registra ovunque un aumento dei matrimoni di fedeli con persone non battezzate, e i problemi che ne nascono non sono pochi. Una concezione diversa del matrimonio, nelle altre religioni non si rintraccia l’idea che sia un sacramento, che la donna sia pari all’uomo, che il legame sia indissolubile, rende la convivenza più difficile, e l’eventuale rottura più drammatica. Il coniuge cattolico, infatti, non si può riposare, l’altro si. Questo succede pure se il matrimonio viene celebrato con cristiani appartenenti ad altre confessioni, perché l’indissolubilità del legame si ritrova pienamente solo nella Chiesa cattolica.
In molte società tradizionali la famiglia mantiene un peso forte nella vita della comunità, e questo fattore sociale certo rafforza il progetto cattolico di famiglia, perché contribuisce a dare importanza e serietà al legame matrimoniale, che addirittura è al centro di una nuova rete di parentela. Ma i Padri sinodali che davano queste notizie, rallegrandosene, non tenevano conto del fatto che, quasi sempre, in queste culture tradizionali il ruolo della donna è mortificato, non è guardato con il rispetto richiesto dall’appartenenza cristiana. In effetti, i Padri nelle loro riflessioni non tenevano presente che la situazione delle donne può differire molto da quella degli uomini, pur vivendo nella stessa famiglia. Un’attenzione maggiore alla condizione delle donne, all’oppressione che queste ancora vivono in molte regioni del globo, dovrebbe sempre far parte, invece, di una riflessione veramente cristiana. Un’attenzione alle donne, inoltre, farebbe capire che famiglia non coincide sempre con matrimonio. Purtroppo è in costante ascesa, in tutto il mondo, il numero delle donne che da sole allevano i figli e su di esse grava il peso di assicurare loro condizioni di vita accettabili ed educazione. A queste situazioni, spesso davvero critiche, e comunque sempre molto pesanti, si aggiunge un altro dramma: quello delle donne violentate nelle zone dove lo stupro è arma di guerra. Alcune di queste donne accettano di allevare il figlio del nemico, ma spesso per questa coraggiosa scelta vengono rifiutate dalla loro comunità e dalla loro famiglia.
La realtà vera delle famiglie è quasi sempre molto diversa da quella del nucleo familiare modello di cui parlano i Padri sinodali, cioè da quello che dovrebbe essere una famiglia perfetta. Le famiglie sono piene di imperfezioni, la vita in comune è difficile, e sempre ogni vita umana ha bisogno di uno sguardo misericordioso. Come è misericordioso lo sguardo che Gesù, nei Vangeli, posa sulle famiglie che incontra, che sono non di rado irregolari e complicate, adultere, donne che hanno avuto cinque mariti, un fratello e due sorelle, ma alle quali assicura il suo perdono e il suo amore. Del resto, anche la sua genealogia, che apre il Vangelo di Matteo, comprende prostitute e uomini violenti, perché il Messia è venuto a redimere l’umanità quale essa è: umanità che Cristo vede nella sua realtà e che in questa realtà ama. Ma troppo spesso noi dimentichiamo che possiamo incontrare Gesù solo nel deserto delle nostre vite, solo quando invochiamo la sua misericordia.
LUCETTA SCARAFFIA