6ª opera di Misericordia
“Venite benedetti del Padre mio… Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36)
Quando nel Vangelo ascoltiamo le parole solenni del Figlio dell’uomo glorificato identificarsi col carcerato non possiamo rimanere indifferenti. Se la visita agli ammalati, il soccorso ai poveri può suscitare tenerezza e non fatichiamo a capire che Cristo si riconosca in queste persone deboli, il fatto che egli si possa identificare in un carcerato, che è lì perché qualcosa di grave ha commesso, suscita immediatamente un po’ di ripulsa e stizza. L’amore che Gesù propone, però, va ben al di là delle azioni puntuali dell’uomo, egli lo ama per il semplice fatto che è una creatura di Dio, è oggetto della sua benevolenza, lui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Cfr. Mt 5,45). In lui non c’è preferenza di persona (Cfr. At 10,34), il suo è uno stile di solidarietà con il peccato, perché il peccatore si converta e ristabilisca nella giustizia la sua vita.
Così dev’essere l’animo che ci guida in questa opera di misericordia, purtroppo spesso disattesa e ignorata: essa richiede coraggio, sensibilità umana e capacità di grande ascolto del vissuto altrui per capire le ragioni che l’han portato fin lì e così poter dire una parola che illumini, risollevi e apra alla speranza. Certamente ci dev’essere una sempre maggiore disponibilità dei responsabili delle carceri perché quanti desiderano possano incontrsre i reclusi in un clima sereno e accogliente.
TIBERIO CANTABONI