5ª opera di Misericordia
«Venite benedetti del Padre mio… perché ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36)
Essere colpiti da una malattia, specie se grave, è un evento del tutto particolare nella vita: significa sperimentare con angoscia che non siamo più noi e la nostra volontà a dire al corpo ciò che deve fare, ma è il corpo a darci ordini, impedendoci di agire come vorremmo e obbligandoci a vivere in un modo che ci disorienta. È un’esperienza che presto o tardi ogni uomo fa nella vita e che assomma la dimensione fisica a quella spirituale. Per questo nel rapportarsi ad un ammalato è necessario tener presente non solo il “ caso clinico”, cioè la patologia, ma anche tutta la sfera dei suoi sentimenti, delle sue prospettive, delle paure che il malato prova. La Bibbia attesta diverse modalità nel rapporto con la persona inferma: una relazione asettica e di circostanza, che Giobbe definisce come “ consolatori stucchevoli” “ raffazzonatori di menzogne”, “medici da nulla”e, al contrario, una relazione in cui la compagnia e l’ascolto diventa una vera passione, un “ patire con”, facendo dei sentimenti dell’altro i nostri stessi sentimenti. Come il Samaritano che, vedendo l’uomo piagato, gli passò accanto, lo guardò con amore e ne ebbe compassione ( Lc 10,39). Ognuno ha accanto a sé conoscenti o parenti provati dalla malattia e vivere in profondità questa opera di misericordia significa trasfondere in noi lo stile di Gesù, cosi da poter donare vero conforto e pace del cuore a quanti accostiamo.
TIBERIO CANTABONI