Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Questo brano ci avvicina all’immagine del buon Pastore, a cui nessuno strapperà di mano le pecorelle del Padre. «Io e lui siamo una cosa sola» dice Gesù. Dunque il Padre difende il Figlio, il grande protegge il piccolo. Il vento di quel gesto è eterno. Chissà se oggi, in questo tempo di grandi ingiustizie sociali, l’eco di quelle parole consola un padre di famiglia che non può difendere i propri figli, come fece Dio Padre con Gesù, perché è senza lavoro? La forza nata in Cristo può oggi rigenerare una volontà fiaccata dalla disperazione di chi non riesce a sfamare le pecorelle della sua casa? I giovani deboli, i nuovi agnelli, rischiano di fuggire verso pascoli oscuri, da cui poi è difficile tornare. Ecco allora che quel buon Pastore porta sulle spalle la speranza. È questa la parola che si deve alzare dall’ombra di quell’ovile: un esempio senza tentennamenti, in un mondo che rischia di essere sommerso da tenebre morali ed economiche. «Noi siamo il buon Pastore, deve gridare la Chiesa, e nessuno ci strapperà di mano la luce!» Non c’è più tempo ormai per altre parole. Questi devono essere i giorni del giusto ammaestramento e del coraggio. Soltanto così si ritroverà la via dell’ovile, prima che esso rimanga desolatamente vuoto. Ascoltiamo la voce del buon Pastore?
Parola-chiave: Pastori
«La Chiesa è un ovile la cui porta unica e necessaria è Cristo. È pure un gregge di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore e le cui pecore (…) sono incessantemente condotte al pascolo dallo stesso Cristo, il buon Pastore, (…) il quale ha dato la vita perle pecore.» (Lumen Gentium, 6)