Il testo più “scandaloso” sulla misericordia è il racconto dell’adultera nel Vangelo di Giovanni (Gv 8,9) : “Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Gesù è solo con la donna e si alza, con un gesto bellissimo! Si alza davanti all’adultera, come davanti a una persona attesa e importante. Si alza in piedi, con tutto il rispetto dovuto a una presenza regale. Si alza per esserle più vicino, occhi negli occhi, e le parla. Nessuno le aveva parlato prima. Lei e la sua storia, lei e il suo intimo tormento non interessavano. “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Dove sono quelli che sanno solo lapidare e seppellire di pietre? Non devono stare qui. Quelli che sanno solo vedere peccati, dove sono? Il Signore non sopporta due tipi di umani: gli ipocriti e gli accusatori. Vuole che scompaiono. Come sono scomparsi quel giorno, così devono scomparire dal cerchio dei suoi amici, dai cortili dei templi, dalle navate delle chiese, dalle stanze del potere. E la chiama Donna con il nome che ha usato sua Madre. Non è più l’adultera, la trascinata, buttata là in mezzo, è la donna. Gesù adesso si immerge nell’unicità di quella donna, nell’intimo di quell’anima. Ed è soltanto così che anche noi possiamo trovare l’equilibrio tra la regola e la compassione: immergendoci nella concretezza di un volto e di una storia, non in un’idea o una norma. Imparando dall’intimità e dalla fragilità. La fragilità è maestra di umanità.
In tutto il mondo è la cura dei fragili, dei portatori di handicap, l’attenzione data alle pietre scartate che indica il grado raggiunto da una civiltà, e non le gesta dei forti e dei potenti. “Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno”. Adesso Gesù scrive non più nella polvere o sul selciato, ma nel cuore di quella donna, e la parola che scrive è: futuro. E la donna, di colpo, appartiene al suo futuro, alle persone che amerà, ai sogni che realizzerà. La donna non ha chiesto perdono. Gesù neppure chiede se è pentita. Lui non si interessa di rimorsi. Rimorsi e pentimenti sono cose che ancora ti legano al tuo passato. Invece il perdono di Dio è un atto creativo: apre sentieri, ti rimette sulla strada giusta, inizia percorsi, avvia processi. “Va’ e d’ora in poi non peccare più”: risuonano le sei parole che bastano a cambiare una vita! Gli altri uccidono, lui indica passi; gli altri coprono di pietre, lui insegna sentieri. E ciò che è stato dietro non importa più. Importa il tuo futuro. Il bene possibile domani conta più del male di ieri.
Dio perdona come un liberatore, non come uno smemorato. Tante persone vivono come in ergastolo interiore, dentro patiboli che hanno elevato a se stessi, schiacciate da sensi di colpa per errori passati, e massacrano l’immagine divina che preme in loro per venire alla luce. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Dice a quella donna: vai, esci dal tuo passato, vai verso il nuovo, e porta lo stesso amore, lo stesso perdono, a chiunque incontri. Tu non sei l’adultera di questa notte, ma la donna che, che adesso in poi, è capace ancora di amare, e di amare bene. Il Signore Gesù perdona senza condizioni, con un atto di fiducia totale in me: incontrare questo amore senza condizioni, genera amanti senza condizioni. “Neppure io ti condanno”. Il cuore del racconto non è il peccato da condannare o da perdonare; al centro, “là in mezzo”, non c’è il male, ma un Dio più grande del nostro cuore; che non giustifica l’adulterio, non banalizza la colpa, ma riapre il futuro, e da là dove ci eravamo fermati, ci fa ripartire. Il Dio del mare aperto, del grano che matura dolcemente e tenacemente nel sole. Per lui il grano vale più della zizzania. Il bene pesa più del male. La luce è più importante del buio. Un’unica spiga di buon grano conta più di tutte le erbacce del campo.
Hermes Ronchi