«Entrato a Cafarnao, venne incontro a Gesù un centurione che lo scongiurava: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”» (Mt 8,5-10). Il primo atto di misericordia nei confronti del malato è di impegnarsi, affinché, nell’ambito sanitario, riceva delle cure efficaci. Il malato, oltre alle cure, necessita di umanità in quanto la sua condizione lo rende particolarmente sensibile all’affetto e al rapporto personale con gli altri. Tale situazione offre un grande spazio per l’esercizio della misericordia, soprattutto per quei malati che, a causa della lontananza dalla propria abitazione, non vedono facilmente familiari e amici. Dovunque ci sono persone ammalate, lì il Signore regna!
«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il premio preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36) . Quest’opera di misericordia corporale è una delle più difficili da praticare, in quanto il carcere non è un’ ambiente aperto e accesibbile a tutti, se non a persone autorizzate e a volontari preparati. Bisogna anzitutto dire che il carcerato è un uomo che soffre, perché privato della libertà, perché spesso emarginato e talvolta motivo di pregiudizio. È necessario porsi in atteggiamento di accoglienza e solidarietà nei confronti delle persone recluse, « nella vita, afferma Papa Francesco, non bisogna mai spaventarsi delle cadute, l’importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati».
Maria Rita Bondì