Papa Francesco ha dato un forte impulso al tema della misericordia, anzi l’ha proposto come strada pastorale per i credenti. La misericordia indica il culmine dell’amore perché? Perché attesta la permanente fedeltà che sa giungere fino al perdono e al dono di sé: cor-misereor il cuore che prova compassione. Misericordia è amore che diventa responsabilità .
La Misericordia ci ricorda papa Francesco nella lettera di indicazione dell’anno santo: “è fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza”. Questa misericordia sarà l’oggetto dell’anno giubilare che segnerà il cammino pastorale delle comunità diocesane e parrocchiali.
Nella sua lettera pastorale il Vescovo di Termoli-Larino (CB), Mons. G. De Luca scrive: “Il giubileo della miserciordia vuol dire trasfromare la Chiesa, la famiglia, l’umanità… non basta essere solo un po’ buoni, bisogna lasciarsi travolgere dal Vangelo della grazia e della misericordia”.
S’impone, allora, una profonda riflessione sulla misericordia partendo dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione, alla riflessione teologica per giungere alla prassi ecclesiale di come attualizzare nel milieu (ambiente vitale) i volti della misericordia nelle sue 14 opere corporali e spirituali.
La Misericordia: il cuore della tradizione teologica
Tra le molteplici definizioni di misericordia fa riflettere quella del gesuita americano James Keenan. Lega la misericordia alla complessità e caos della vita quotidiana, la definisce come: “la volontà di entrare nel caos degli altri”. Tutta la nostra tradizione teologica si esprime facendo riferimento alla misericordia. La misericordia intesa come imitare praticamente il samaritano buono (Cristo) ch cura le ferite dell’uomo (Adamo). Questo implica entrare nel complesso caos delle situazioni delle persone. Se la pensiamo così, la creazione stessa è un atto di misericordia che porta ordine all’universo (dal caos al cosmos), l’incarnazione, la morte e risurrezione di Cristo è l’entrata di Dio nel caos dell’esistenza umana.
La Misericordia dice chi è il cristiano
Il cristianesimo delle origini si definiva in base alla misericordia. Lo storico americano R. Stark nel saggio il trionfo del cristianesimo ha scritto: “In mezzo allo squallore, alla miseria, alla malattia e all’anonimato delle antiche città, il cristianesimo creò un’isola di misericordia e sicurezza”. Le religioni pagane chiedevano di assolvere compiti rituali (offerte, preghiere, costruzione di templi etc…) non erano dirette al prossimo. E, anche se i romani praticavano la generosità questa non era dettata da un comando religioso, divino.
I romani pagani sebbene mettessero in atto la generosità, non incitavano alla misericordia o alla pietà. La misericordia, infatti, implicava “un aiuto o conforto non guadagnato”, era dunque considerata un’ingiustizia. I filosofi romani si opponevano alla misericordia. “La pietà era un difetto del carattere indegno dei saggi e giustificabile soltanto in persone non ancora mature.
Era una risposta dettata dall’impulso e basata sull’ignoranza”. Questo era il clima morale quando il cristianesimo cominciò a insegnare la misericordia come una delle virtù primarie. Da qui nasceva l’idea secondo cui poiché Dio ama l’umanità, i cristiani non possono piacere a Dio se non si amano gli uni gli altri. La misericordia praticata dai cristiani fu una vera rivoluzione essa costituì la base culturale per la rinascita del mondo romano.
La Misericordia nella sacra scrittura: L’Antico Testamento
La misericordia, secondo il linguaggio biblico, la si fa; pensiamo al comando di Gesù al dottore della legge: “Và e anche tu fa lo stesso” (Lc 10,37).
Nell’Antico Testamento la Misericordia chiede gesti concreti, così Giobbe afferma di essersi sempre preso amorevolmente cura della vedova e dell’orfano, di aver condiviso il proprio pane con il bisognoso e di aver vestito chi era privo di abiti (Cf. Gb 31,16-23).
Nel libro del Siracide è prescritto l’aiuto al povero “al povero tendi la tua mano perché sia perfetta la tua benedizione” (Sir 7,32); visitare i malati (Cf Sir 7,35); consolare gli afflitti (Cf. Sir 48,24). Nel libro di Tobia è descritta l’opera concreta di seppellire i morti; tutte queste immagini dicono la declinazione pratica dell’amore per i poveri e bisognosi.
Il giudaismo aveva familiarità con l’idea di opere di misericordia, affermerà: “il mondo poggia su tre fondamenti: sulla Torà, sul culto e sulle opere di misericordia (ghemilut chasadim)”. La tradizione giudaica afferma che le opere di misericordia hanno un’estensione molto più ampia del singolo gesto. “L’elemosina viene fatta solo con il denaro, le opere di misericordia con il denaro e con tutta la persona; l’elemosina viene fatta solo al povero, le opere di carità vengono fatte sia ai poveri che ai ricchi; l’elemosina viene fatta solo ai viventi, le opere di carità riguardano sia i vivi che i morti”.
Per praticare la misericordia c’è bisogno dell’impegno personale, della relazione e dei rapporti umani non in senso quantitativo ma in senso qualitativo.
Il Nuovo Testamento
Se l’Antico Testamento prescriveva opere concrete di misericordia il Nuovo le assumeva nella pagina di Mt 25: il giudizio finale. In questa pagina troviamo un’esemplificazione e un elenco di sei gesti di carità che, fatti a un povero, a un piccolo, sono in verità fatti a Gesù stesso (Cf. Mt 25,35-36).
Non vi è dubbio che questa pagina abbia condizionato le generazioni successive alla compilazione di liste concrete delle opere di misericordia. Così in uno scritto del II secolo d.C., il Pastore di Erma, troviamo un elenco di azioni buone da compiere, o meglio, di attitudini buone da vivere: “assistere le vedove, visistare gli orfani e i bisognosi, liberare dalle ristrettezze i servi di Dio, essere ospitale…”. Dopo san Cipriano di Cartagine (+258) fu Lattanzio (+317) a compilare una lista di opere di misericordia che in seguito diventerà tradizionale: “Se qualcuno non ha cibo, condividiamolo con lui; se qualcuno viene a noi nella nudità, vestiamolo; se qualcuno è vittima di ingiustizia da parte di un potente, liberiamolo. La nostra casa sia aperta ai pellegrini e ai senza tetto. Non smettiamo mai di difendere gli interessi degli orfani e di assicurare la nostra protezione alle vedove. Grande opera di misericordia (misericordiae opus) è riscattare i priogionieri del nemico, visitare e consolare i malati e i poveri.
Se dei miseri o degli stranieri muoiono non lasciamo che restino insepolti. Queste sono le opere, i doveri della misericordia: se qualcuno ne assume l’iniziativa, offrirà a Dio un sacrificio autentico e gradito”. L’idea delle opere di misericordia spirituali nasce dall’interpretazione allegorica che Origine fa al passo di Matteo 25. Ad esempio, l’atto di vestire chi è nudo diviene il rivestire di virtù il prossimo.
Molti altri scrittori ecclesiastici commenteranno il passo di Matteo 25 così nel XII secolo si giunge ad avere 2 settenari di opere di misericordia corporali e spirituale. Il sette, ci ricorda la tradizione medioevale è simbolo di ordine e di completezza, sintesi quasi magica di unità e di molteplicità. Con il settenario la molteplicità di atti di misericordia viene in certo modo sintetizzata e dotata di unità.
Una prassi di Misericordia
Ora noi ci chiediamo prima di tutto se siamo disposti a vivere queste 14 forme della misericordia tenendo presente il Passo di Matteo 25. Se si, ci domandiamo: come possiamo attuare queste forme pratiche della misericordia nella nostra vita personale e come attuarle nella vita della nostra comunità. Ora qui non basta fare ingegneria pastorale, distribuire a questa a quest’altra comunità un’opera di misericordia, qui bisogna prima di tutto ricentrare la nostra esperienza cristiana e significare come senza la fatica della carità il nostro diventa un cristianesimo sterile e di facciata. Le opere di misericordia corporali e spirituali sono generate dalla fede. Credere è sempre incontrare una persona. Una fede vissuta non può non incontrarsi con la “carne di Cristo” (come dice papa Francesco) che si rende visibile in ogni forma di povertà che tocca l’uomo . Tocca a noi una profonda riflessione, la fatica di sapere leggere la vita, la comunità il territorio e fare una scelta di campo per vivere la responsabilità delle opere di misericordia. Le opere di misericordia spirituali prendono in esame i dubbiosi, gli ignoranti, i peccatori, gli afflitti, le persone moleste e la preghiera per i vivi e i morti, ci stimolano ad un’iniziativa personale. In un tempo di forte individualismo le opere di misericordia spirituali ci riportano all’attenzione della qualità delle relazioni con le persone vicine e lontane da noi. Le opere di misericordia spirituali, scavano dentro e rendono l’uomo più attento all’uomo. In conclusione le opere di misericordia ci impongono una scelta di responsabilità, un respiro di piena umanità e indirizzano i credenti a rivedere stili e prassi di vita. La vera sfida della riuscita del giubileo della misericordia non è tanto nei milioni di pellegrini che passeranno la porta santa di delle 4 basiliche papali, la vera sfida è nel saper creare una prassi di misericordia che incida e cambi i volti e il volto della comunità ecclesiale. Un antico racconto dei chassidim , gli ebrei della diaspora, recita:
“Cercavo una terra, una terra assai bella, dove non mancano il
pane e il lavoro, la terra del cielo!
Cercavo una terra, una terra assai bella, dove non ci sono dolore e
miseria, la terra del cielo!
Cercando questa terra, questa terra assai bella, sono andato a
bussare, pregando e piangendo alla porta del cielo! Una voce mi ha
detto, da dietro a questa porta: vattene, vattene, perché io mi sono
nascosto nella povera gente. Cercando questa terra, questa terra assai
bella, con la povera gentre, abbiamo trovato la porta del cielo!”.