NEL GIORNO DEL SIGNORE

(Apoe. 1,1-20)

Per la lecto

L’Apocalisse è un messaggio di consolazione indirizzato a credenti messi alla prova, a qualcuno che sta male, perché sia aiutato a discernere la sua vicenda, scoprendo che la potenza gloriosa di Dio viene, si rivela vittoriosa.

Proprio qui sta il contenuto essenziale del messaggio apocalittico: il Signore si rivela, l’Apocalisse è svelamento di lui, Signore vittorioso della storia umana; tutta la creazione a lui appartiene, a lui ritorna. I credenti hanno bisogno di essere interpellati attraverso immagini, ricordi, richiami che in qualche modo toccano la sensibilità. Giovanni scrive l’Apocalisse nel tempo di persecuzione. Egli vede. La storia è determinata dalla signoria di Colui che è disceso e risalito. L’Apocalisse in questo senso indica un futuro già iniziato e realizzato. Per questo è un libro da fare, sempre di nuovo da ciascuna generazione. Oggi può diventare il nostro compito. L’Apocalisse si apre con una visione, seguita da molte altre: è il libro di chi vede dentro la storia l’ “oltre”, quel futuro che già lo definisce e lo illumina.

Questa visione sorprende Giovanni nel giorno del Kyrios, durante il quale si celebra l’Eucaristia, memoriale della Pasqua del Signore. La comunità cristiana radunata per l’Eucaristia è il luogo dell’ascolto, del discernimento e della visione: frequentandola i cristiani possono diventare uomini e donne capaci di visioni nelle contraddizioni della storia. È quello che poi avviene quasi ininterrottamente nel corso della storia per il popolo dei credenti; gli uomini nella varietà delle loro situazioni sono schiacciati, oppressi, tentati, condizionati in tanti e tanti modi, eppure: io vidi il Signore. “Scrivi per le chiese”. Il Signore vivente si muove attraverso la Chiesa, ha in mano la Chiesa, è il suo luogo sacramentale, è il sacramento della sua Pasqua di morte e di resurrezione. La signoria del Figlio dell’uomo, che riguarda tutta la creazione, che coinvolge tutto to svolgimento della storia umana si manifesta mediante il luogo sacramentale che è la Chiesa. Nei capp. 2-3 troviamo una serie di sette lettere, tante quante sono le chiese destinatarie di questo messaggio. Il Signore vivente scrive alla Chiesa, parla alla sua Chiesa, conversa con la sua Chiesa. Sono sette lettere perché sono sette chiese, ciascuna in situazione diversa. Le sette lettere colgono le chiese  nel loro impegno d’evangelizzazione e nello stesso tempo costituiscono un richiamo, interpellano, mettono in discussione. Di questo parla il Signore con la sua Chiesa. L’impegno dell’annuncio del Vangelo non è impostato in rapporto ad un modo d’essere o di operare della Chiesa nel mondo, ma è in rapporto alla relazione diretta, d’intimità, di comunione, d’amore, intenso, appassionato tra il Signore e la sua Chiesa.

Discernimento

Dinanzi al male radicale che sembra prendere il sopravvento, si pensi per tutti al terrorismo e alla mentalità di guerra, prevalgono letture pessimistiche e senza speranza. Possiamo discernere questa tendenza anche nella comunità cristiana e vocazionale.

Registriamo intorno a noi e in noi un gran deficit di speranza: pensiamo alla politica e al sociale. Il credente che vede il Signore nella sua azione nella storia, alimenta la speranza attraverso uno sguardo contemplativo.

La vita secondo il Vangelo di chi si consacra al Regno è chiamata ad irradiare questa visione in una vita e in una carne trasformate. La speranza cristiana non è chiamata a valorizzare il sacro, ma a tenere desta un’attesa certa, la destinazione d’ogni frammento di vita all’intero dei cicli nuovi e terra nuova.

Quello che giudica la Chiesa e la comunità vocazionale non è “un modo di essere o di operare nel mondo”, ma la relazione diretta, di intimità, di comunione, di amore, intenso, appassionato tra il Signore e la sua Chiesa. La radicalità della secolarità è possibile se è radicale il rapporto con il Signore dentro la storia.

Visione

Il giorno del Signore è il tempo della visione, dell’interpretazione nuova della nostra storia dall’interno dell’Eucaristia. La liturgia è, infatti, lo spazio in cui l’ascolto, il discernimento e la visione dispongono ad accogliere il Mistero.     Lì non sei tu che agisci, la speranza non dipende dai tuoi sforzi, ma dalla presenza del Mistero, che si dà sempre come assente, perché lo cerchiamo senza sosta. L ‘ascolto è indispensabile perché l’Eucaristia porti frutto.

«La nostra parola, spesso, si accontenta di ripetere delle lezioni imparate: ci nascondiamo dietro le parole che bisogna dire, ci diffondiamo in discorsi credendo che così esisteremo davanti a Dio e agli altri… I nostri discorsi stancano, le nostre parole s’incrociano senza raggiungere nessuno perché nessuno le dice veramente. Siamo divisi interiormente e abbiamo paura di esporci: la comunicazione non è facile.

Essa suppone che noi siamo qualcuno e che accettiamo d’essere quello che siamo, con umiltà e verità, con semplicità.  Senza questo siamo condannati alla doppiezza…: noi trascorriamo la nostra vita a scoprire ciò che siamo e a

passare dalla doppiezza alla semplicità. Ed è per questo che la nostra parola si arricchisce del peso della nostra esperienza e si semplifica, prendendo il peso della carne e del sangue».

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