La scelta dei Dodici e la sequela (6,12-16)
La caratteristica che sorregge la scelta dei Dodici in Luca è data da due aspetti: il contesto del discorso delle beatitudini (6,20-26) che Gesù rivolge anzitutto ai discepoli in prima persona (6,20 ss) e il fatto che la scelta sia conseguenza di una profonda preghiera (6,12). È centrale considerare il verbo che definisce l’appello vocazionale, “chiamare” (6,13), cioè rivolgere al cuore dei suoi discepoli l’invito a seguirLo nella strada dell’evangelizzazione e della testimonianza. I discepoli sono detti “apostoli», inviati per le strade come testimoni della risurrezione del Cristo. Si tratta di un importante momento della vita di Gesù e della Chiesa: la designazione nominale dei dodici apostoli evidenzia la concretezza dell’esperienza comunitaria (cf. At 1,13) e la volontà espressa dal Signore di volere e di realizzare la sua Chiesa. Il volto, il nome, il destino degli apostoli ha come punto di partenza l’appello vocazionale e la risposta personale di ciascuno all’invito di Gesù. Essi dovranno essere «uomini delle beatitudini» per l’avvento del Regno di Dio, amando la povertà come essenzialità, condividendo la privazione, la consolazione, in una coraggiosa lotta per la giustizia e la verità. Mentre il Signore viene descritto in cammino decisamente verso Gerusalemme· (9,51) Luca inserisce alcuni detti sulla vocazione apostolica, che sottolineano alcuni fondamentali valori che devono accompagnare la missione del credente. In primo luogo colui che è chiamato a seguire Cristo deve essere consapevole della privazione di beni e di sicurezze umane: «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (9,58). Inoltre la radicalità della scelta di Cristo implica il distacco dagli affetti più cari e dalla propria terra, in vista del Regno di Dio (9,62).
Il primato dell’amore e l’esempio del buon samaritano (10,25-37)
La parabola del ·buon samaritano· va compresa nell’ambito del dialogo di Gesù con il dottore della legge (10,25-28). È lo stesso scriba secondo la versione lucana a dare la giusta risposta sul primato dell’amore verso Dio e il prossimo. Esso si rende concreto nell’atteggiamento del samaritano, i cui verbi sono profondamente esemplificativi della dinamica dell’amore fraterno: «lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, lo caricò sul cavallo, lo portò ad una locanda si prese cura di lui, pagò per lui» (10,32-35). II racconto evidenzia il tema della gratuità del dono, che supera i condizionamenti e gli interessi umani e mira a presentare la scelta cristiana nella sua assoluta donazione per l’altro. Si tratta di un fondamentale aspetto dell’esperienza vocazionale, che traduce nella concretezza il primato della carità e lo estende ad una prospettiva universale, sul modello dell’amore di Dio.
Il banchetto per i poveri (14,15-24)
La nota parabola del banchetto sottolinea alcune connotazioni vocazionali, che riguardano quanti hanno ricevuto l’invito di Dio a prendere parte alla sua vita. «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio» (14,15) grida un commensale a Gesù; e il Signore racconta la parabola: un uomo, una cena, molti inviti. È possibile notare come la narrazione assume una forte connotazione vocazionale: l’uomo (che è denominato: signore) manda a “chiamare” nell’ora della cena i suoi invitati (il verbo è «chiamare»): ·venite è pronto!”, ma i destinatari rifiutano l’invito con motivazioni secondarie: ho comprato un terreno…cinque paia di buoi…ho preso moglie (14,18-20). Qui accade la svolta del racconto: il ·signore· spalancò la sua casa rimasta vuota a tutti i poveri, storpi, ciechi e zoppi, spingendoli ad entrare finché la sala della festa non si fosse riempita. Il rifiuto dell’invito di Dio diventa esclusione dal “banchetto del regno”»: solo coloro che si fanno poveri e piccoli» saranno in grado di accettare la volontà di Dio e di rispondere al suo appello.
Le tre parabole della misericordia (15,1-32)
In Lc 15 si presentano tre parabole della misericordia di Dio che si prende cura dei peccatori. Le parabole sono: la pecora perduta (15,3-7), la dramma perduta (15,8-10) e il figlio prodigo (15,11-32). I racconti sono collocati in un contesto ambivalente: «Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»” (15,1-2). Gesù narra le tre parabole progressivamente, accostandole in uno sviluppo che va dai possessi materiali agli affetti familiari. Le prime due: la pecora perduta (15,3-7) e la dramma perduta (15,8-10) scorrono parallele nell’impostazione. Nella prima parabola colpisce l’immagine del pastore che lascia novantanove pecore per salvarne una (v. 4). Una situazione simile è quella della parabola della dramma perduta. Una donna cerca attentamente la dramma perduta e nel momento in cui la ritrova, chiama le amiche e fa festa con loro per la gran gioia (v. 9). Una fase di chiusura per entrambi i racconti sottolinea la gioia di Dio per un peccatore convertito (vv. 7.10). La terza parabola (vv. 11-32) denominata del «Padre misericordioso» narra della difficoltà relazionale di un padre (e di una madre) verso i due figli, che sono «lontani» dal cuore paterno. Il più giovane fallisce il suo desiderio di felicità spendendo tutti i suoi averi e poi decide di rientrane a casa, schiacciato dal fallimento. Ma il Padre lo raccoglie e lo riabilita. II maggiore a sua volta, vive una situazione ambigua stando in casa, all’ombra del padre, privandosi del suo affetto e chiudendosi nelle rivendicazioni egoistiche della brama dei suoi possessi. In entrambi i casi il Padre «esce» verso i figli per ridonare loro l’amore misericordioso che vince l’odio e la solitudine. Il Padre è figura di Dio, misericordioso e pronto a salvare chi si era perduto.