«Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!» Questa stupenda sintesi pratica della beatitudine dei misericordiosi lavora nel cuore dell’Innominato e allarga la piccola breccia che la grazia, attraverso «una cert’uggia delle sue scelleratezze, l’immagine della morte che gli veniva sola e nasceva dal di dentro e quel Dio che gli pareva sentir gridare dentro: Io sono però!», andava aprendo nel segreto della sua coscienza. Ora quelle parole, pronunciate con accento di umile preghiera, riecheggiano nella sua notte insonne con suono pieno d’autorità: parole di refrigero e di vita, sollievo in quel letto divenuto un covile di pruni, presentimento d’una lontana speranza. Solo il genio del grande artista, coniugato all’esperienza del convertito, poteva guidare la penna del Manzoni nel tradurre in prosa il capolavoro della misericordia divina della vita umana. Al personaggio innominato possiamo dare il nostro nome. Il travaglio del suo cuore a tu per tu con la propria miseria, il desiderio confuso del refrigero del perdono, le lacrime del pentimento, l’abbraccio della misericordia sono nostri. Come pure la confessione del Dio veramente grande e veramente buono. Quel Dio vicino che solo sa fare le meraviglie: toccare un cuore tormentato e farlo suo un segno della sua potenza e della sua bontà. Far crescere terribilmente in noi quel nuovo lui: l’uomo nuovo (Ef 4,24) ma già nascosto in fondo al cuore (Cfr 1Pt 3,4).