UN REGNO E SACERDOTI

La Parola

Cantate un canto nuovo:

“Tu sei degno di prendere il libro

e di aprirne i sigilli,

perché sei stato immolato

e hai riscattato per Dio con il tuo sangue

uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione

e li hai costituiti per il nostro Dio

un regno e sacerdoti e regneranno sopra la terra”.

Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia “e dicevano a gran voce:

“L’Agnello che fu immolato

è degno di ricevere potenza e ricchezza,

sapienza e forza, onore,

gloria e benedizione”.

Tutte le creature dei cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le

cose ivi contenute, udii che dicevano:

A Colui che siede sul trono e all’Agnello

lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli

“E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E i vegliardi si prostrarono in

adorazione.

Per la lecito

Riflettiamo sui vv. 9-10 dell’inno: «Degno sei di ricevere il libro e aprire i suoi sigilli poiché fosti ucciso e comprasti nel sangue tuo (persone) da ogni tribù e popolo e nazione e li facesti al nostro Dio regno e sacerdoti e regnano sulla terra che li unisce (“e fece noi regno sacerdoti a Dio e Padre suo”). L’autore riprende Es 19,6, ma sposta la prospettiva sacerdotale dal futuro di una promessa, al passato di qualcosa già eseguito. In base all’azione di Cristo, i cristiani sono già regno e sacerdoti. Lo sono non per loro iniziativa e neppure in base ad una loro condotta morale irreprensibile. La loro sacerdotalità, come pure la qualifica di regno che vi è abbinata derivano da Cristo, appaiono come un dono. Da notare che l’autore non dice “regno di sacerdoti” perché così avrebbe introdotto un concetto estraneo: nell’Apocalisse il “regno” è solo di Dio e di Cristo (CH. 11,15; 12,10). Non introduce una coniugazione tra i due termini: ciò li avrebbe in un certo senso resi quasi autonomi l’uno dall’altro, mentre sono indivisibili. I cristiani sono “regno” e per questo sono anche “sacerdoti” e viceversa. Che cosa vuol dire? Il termine “sacerdote” nell’ambito dell’Antico Testamento e soprattutto dell’Esodo da cui il termine e desunto, esprime un ruolo di mediazione. In Ap 1,6 i cristiani, prima ancora di essere chiamati sacerdoti, sono qualificati come “regno”. Viene alla mente il quarto Vangelo: Cristo che attua sulla croce e dalla croce un’originale regalità, vi coinvolge il nuovo popolo di Dio. I cristiani sono “regno” perché resi tali da Cristo crocifisso. I cristiani non appartengono estrinsecamente a Cristo re, ma dentro di loro s dà un’affinità con Lei. Questo fatto è in rapporto con la loro attività di sacerdoti, anzitutto perché la rende possibile. I cristiani non sarebbero in grado di esercitare una qualunque mediazione tra gli uomini e Dio se non fossero già affini a Cristo come regno.

L’attività sacerdotale svolta dai cristiani è da collocare nell’ambito del divenire del regno nel quale Cristo impegna oggi la sua potenza e la sua attività. In conclusione, l’abbinamento “re-sacerdoti”, costituisce una qualifica fondamentale dei cristiani, già realizzata. La mediazione attiva tra il livello degli uomini e quello di Dio, suggerita dal termine “sacerdoti”, è precisata dal

termine “regno”. Esso indica l’affinità con Cristo indispensabile per la mediazione, come pure il campo dove tale mediazione si svolge: e il campo del regno che, sotto l’influsso di Cristo risorto, cresce nella storia. Non si dice nulla sul modo con il quale cristiani eserciteranno, di fatto, la loro mediazione. Nel brano di 5,9-10 sono approfonditi alcuni punti. In conseguenza della sua morte, Cristo agnello “acquistò” persone provenienti da tutte le categorie possibili. l’acquisto suppone un passaggio di proprietà. Gli uomini si trovavano in condizione di non appartenenza, d’eterogeneità rispetto a Dio, ma l’azione di Cristo li acquista e li indirizza a Dio. Ora, l’acquisto come tale può considerarsi finito, ma non si può dire che gli uomini “acquistati” abbiano già raggiunto Dio, che costituisce la loro destinazione ultima. Uno sguardo realistico alla storia mostra una tensione drammatica tra bene e male che passa attraverso gli uomini. Fondamentalmente essi appartengono a Cristo e per questo è ancora mollo da superare e neutralizzare proprio nell’ambito della storia, prima ch: gli uomini appartengano, di fatto, pienamente a Dio. Si può pensare che in questo tragitto storico dall’acquisto alla piena appartenenza si apra lo spazio per la mediazione propria dei cristiani sacerdoti. I cristiani sono “regno” grazie all’azione di Cristo, dalla quale scaturisce un dinamismo di regno nel quale si realizza il sacerdozio specifico dei cristiani. I cristiani non hanno il regno in modo concluso. Stanno costruendo il regno e svolgono questa loro attività “sopra la terra”: ciò significa che essi agiscono direttamente nella storia.

Discernimento

  • I cristiani sono stati fatti sacerdoti e, come tali, regnano sulla terra

contribuendo alla realizzazione del regno di Dio e di Cristo nella storia. La mediazione dei cristiani sacerdoti si esprime nella storia attraverso:

  • La dimensione politica, con speciale riferimento alla giustizia e alla pace.
  • L’accoglienza dello straniero.
  • Il dialogo tra le culture e tra le religioni.
  • La difesa e la promozione dei poveri.
  • Non sono precisati i modi concreti tramite i quali i cristiani possono contribuire all’attualizzazione del regno e quindi «esercitare il loro sacerdozio. La comunità in ascolto applica la sua intelligenza per individuare le scelte concrete Il quadro delle possibilità d’attuazione è amplissimo, abbraccia tutta la vita e arriva fino al martirio potenziale. È importante che si resti a contatto con la terra e il mondo.
  • Regalità e sacerdozio si esercitano in modo prioritario nel mondo. Occorre discernere la dimensione laicale della presenza e dell’azione del cristiano oggi nel mondo, anche come fermento per la vita della Chiesa.

Visione

L ‘Eucaristia accompagna e realizza il divenire del Regno nella storia ed educa i cristiani alla fede. Ogni lode, onore e gloria, nei secoli dei secoli. Amen!”. Così si chiude la Grande Preghiera Eucaristica. L’Eucaristia gode di un’estensione per i secoli dei secoli”, non è chiusa a questo tempo, né all’assemblea che qui e ora la celebra. L’Eucaristia è dunque “immagine del regno”, e sottolinea così il paradosso del “già e non ancora”. La risurrezione di Cristo ha vinto la morte il male, ma questa vittoria non è stata ancora concretamente realizzata nella storia. Il carattere escatologico dell’Eucaristia non attenua, anzi intensifica la lotta contro il male. L’Eucaristia ci chiama a rivolgere lo sguardo non solo “verso l’alto”, ma anche “in avanti”. Non ci chiede di sfuggire dallo spazio e dal tempo, ma di credere che grazie all’economia della santa Trinità che e stata realizzata nella persona e nell’opera di Cristo, “con la cooperazione dello Spirito santo”, lo spazio e il tempo sono capaci di accogliere la trasfigurazione; e che il regno di Dio non è qualcosa che rimpiazzerà la creazione materiale, ma piuttosto la trasfigurerà, purificandola da quegli elementi che portano corruzione e morte. L’Eucaristia ci assicura che la materia e sacra e degna di onore a partire dal momento in cui il Figlio di Dio si è incarnato, c che anche il tempo è santificato dalla sua presenza incarnata… Perciò l’Eucaristia come “comunione dei tempi ultimi” ci rivela che l’intera creazione è predestinata dall’amore di Dio a esser finalmente liberata dalla corruzione e dalla morte e a vivere “per i secoli dei secoli”, avendo come capo l'”ultimo Adamo”, colui che ha reso realmente ciò che il “primo Adamo” aveva rifiutato e non era riuscito a compiere: la comunione delle realtà create con Dio.

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