Come succhiare un chiodo?
Quando si affronta il tema della lingua e del vocabolario di un autore, l’impressione è quella di «succhiare un chiodo». Il tema appare arido e la sfilza di sostantivi e aggettivi rassomiglia ad una litania noiosa; se poi i vocaboli vengono citati in greco o in ebraico (anche se traslitterati) la tentazione di tirare dritto e di lasciar perdere è molto forte. Se a questo si aggiunge, come nel caso di Giovanni, che ci troviamo davanti ad un vocabolario ridotto e ripetitivo la tentazione è ancora più forte. Eppure lo studio del vocabolario è importante, perché ad esso emergono il messaggio, le idee principali, gli influssi culturali, la mentalità e personalità dell’autore… Ora, nel nostro caso non occorre essere dei grandi specialisti per accorgersi che il vocabolario e lo stile di Giovanni è molto diverso da quello dei Sinottici. È già questo lo rende affascinante o, per lo meno, suscita una certa curiosità. Diciamo subito che il Vangelo di Giovanni è “molto meno concreto e pittoresco di quello di Marco, meno letterario di quello di Luca. Non è tuttavia banale”(Cothenet).
Qual è la lingua originale del quarto vangelo?
Nel passato qualche autore (ad esempio, Burney, nel 1922) aveva ipotizzato un origina semitico, ma la maggioranza degli studio si è d’ accordo nel dire che il vangelo di Giovanni è stato scritto in greco (tra gli altri, Lagrange, Wikenhauser, Mollat). Ma quale greco? Si tratta della cosiddetta lingua Koinè, cioè «comune» perché si parlava un po’ in tutte li regioni dell’ impero romano nel primo secolo d. C. Ma non si tratta della Koinè letteraria (più vicina al greco di Luca). ma di quella comunemente parlata dal popolo, satura “ del linguaggio della pietà giudaica, un greco parlato, ad esempio, anche dal ceto alto e medio di Gerusalemme dove, tuttavia, al tempo stesso si leggeva la Scrittura, si prega e si discuteva nella « lingua sacra»”
Quind Est Veritas?”( Gv 18,38)
Ma le peculiarità non riguardano solo la presenza di determinati sostantivi o aggettivi, ma soprattutto il significato di alcuni termini. Uno su tutti. Ale’theia(verità). “che cos’è la verità?”, ha chiesto anche Pilato (Gv 18,38). Ecco la risposta del grande esegeta Ignace De La Potterie, che ah dedicato molti anni di studio a questo tema: ”La verità, per San Giovanni, non è l’essere di Dio; è il Cristo, Parola del Padre, ed è lo Spirito… la verità è nella parola del padre rivolta agli uomini, incarnata nel Cristo, illuminata attraverso l’azione dello spirito”. Nulla a che fare, dunque, con l’idea che abbiamo abitualmente della verità, definita dalla filosofia scolastica come Adaequatio rei et intellectus, cioè corrispondenza tra intelletto e realtà.
Una parola sullo stile
Senza scendere in molti dettagli, va detto che l’evangelista “ usa in modo intelligente i tempi: nella narrazione alterna l’aoristo e il presente storico (usato 164 volte). Da questo punto di vista si comporta come Marco, mentre Luca, più letterario, evita il presente storico… usa molto frequentemente il perfetto” (Cothenet). Come Mc, anche GV ama la paratassi, cioè unisce le fresi tra di loro con un semplice kai (et… et… et). Un esempio: “ e fece del fango… e spalmo…; e si lavò e torno. Quanto alle particelle greche, va sottolineato l’uso quasi asfissiante di oun («dunque, quindi, allora»), che ricorre circa 200 volte! Questo uso è una delle caratteristiche di Gv; sembra un narratore popolare con una litania di “allora… allora… allora”.
Da quanto detto, “sembrerebbe che il livello letterario di Giovanni fosse abbastanza elementare… Nonostante la povertà relativa dei suoi mezzi, Giovanni è un grande scrittore che sa concentrare l’attenzione dei suoi lettori sull’essenziale (A. J. Festugière)” (Cothenet).