Il soggetto che canta il Benedictus
L’evangelista Luca pone sulle labbra di Zaccaria questo canto di lode. Come sappiamo, nel tempio non aveva creduto alle parole dell’angelo riguardo alla promessa di un figlio (cf. Lc 1,13). Il dubbio l’aveva così reso muto (cf. Lc 1,22) e sordo (cf. Lc 1,62). Il fatto fa riflettere. Dobbiamo sapere che le nostre parole sono sempre una risposta a una parola udita. In questo caso la parola udita è quella di Dio. Ma se non ascoltimo, ovvero se non crediamo a quanto Dio ci dice, inevitabilmente arriveremo a non sentire più nulla e a non dire più nulla. “L’uomo, scriveva il pensatore tedesco J.G Herder, è interamente nel sentire”. Zaccaria è perciò, inizialmente, l’icona tragica di un’umanità chiusa in se stessa. Ma il Benedictus è pure il canto di un’umanità che ha ritrovato se stessa e che nell’ascolto è giunta alla lode e alla riconoscenza: “Il Benedictus sgorga dal cuore di un “convertito” che dà alle sue parole un effetto “catartico”, etico, come a comunicare, agli ascoltari ellenistici forse indecisi e increduli verso la nuova “filosofia cristiana”, che era possibile cambiare;ma era una rhesis che non trascurava neppure gli eventuali Giudei che, se avessero voluto, potevano allontanarsi dal tempio e proclamare le grandi opere che Dio continuava a compiere: la benedizione di Zaccaria è tutta per il Dio di Israele e per le figure che hanno fatto la sua storia. Il Dio cantato da Zaccaria è un Dio che interviene nella storia, si rivolge a tutti gli uomini, agendo nella casa dei re (Davide), nella casa dei sacerdoti (Zaccaria), nella casa di Maria (Gesù)”. Zaccaria è pure l’immagine di un sacerdote che, da una vita di servizio a Dio nel culto, ora sperimenta la forza e la bellezza della buona novella. Egli impara così ad accogliere l’oggi com’è e non come vorrebbe che fosse. Oramai, dal sospetto è passato alla fede, e dalla paura alla fiducia. Dio l’ha toccato con mano, è un Dio affidabile.
La venuta delle viscere misericordiose
Soffermiamoci sulla frase finale del Bendictus: “Grazie alle viscere misericordiose del nostro Dio per le quali ci vestirà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su coloro che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla vita della pace” (Lc 1,78-79). Grazie alle viscere misericordiose di Dio, afferma Zaccaria, verrà a visitarci un sole/oriente dall’alto (anatole ex ypous). Anatole reso generalmente con sole/oriente nella bibbia dei LXX traduce il termine ebraico tsemach «germoglio». In Ger 29,5 il germoglio è il Messia (si veda anche Zc 3,8;6,12). In Nm 24,17, invece è la stella intravista da Balaam. Per Zaccaria, le viscere misericordiose di Dio segneranno l’avvento di un Oriente dall’alto, di un Germoglio, di un Astro. In una parola: abbiamo qui l’annuncio dell’Incarnazione come venuta della luce. Una Luce che è Vita, come ci ricorda il quarto vangelo (cf. Gv 1,4). Dio invia quindi sulla terra le sue viscere (rachamim), la sua matrice divina di cui il messia ne sarà la storicizzazione. Come è noto, le viscere misericordiose di Dio manifestano il suo con-patire e il suo con-soffrire con l’uomo.
Inoltre la rachamim sono le viscere femminili, materne. L’mmagine ricorda quindi come Dio ci porta nel suo grembo, ci plasma in se per generarci come nuova creatura. Come ogni bambino che nasce in questo mondo attraversa la madre, così chiunque è chiamato a rinascere dall’alto deve attraversare il grembo di Dio (cf. Gv 3). C’è poi un verbo importante «visitare» (v.68 e v. 78). Luca lo usa quattro volte nel suo Vangelo (cf. Lc. 1,68.78; 7, 16; 19,44) per esprimere la sollecitudine divina verso il suo popolo. Per Luca. La visita di Dio coincide con il compimento in cui Dio visita il suo popolo (cf. Lc 19,42-44). Dio è venuto tra noi (v.68) e ritornerà alla fine dei tempi (v.78), come abbiamo sopra ricordato. La comunità cristiana deve perciò stare vigilante. Zaccaria, infine, afferma che la venuta del Messia illuminerà quanti siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte e guiderà Israele e le genti (universalismo) sulla via della pace (cf. Lc 1,78). Le immagini usate rimandano a Is 9,1 e descrivono la tragicità della situazione umana: l’uomo vive nella tenebra e nella morte. Le viscere misericordiose di Dio scendono negli abissi della disperazione umana, là dove regnano il peccato e il salario del peccato, la morte. Come non vedere in questo discendere di Cristo il mistero del Sabato santo, nel quale il Risorto ha visitato il regno della morte? In Luca la misericordia ha tre sfumature importanti. Anzitutto si esprime come benevolenza (eleos). Già nel primo capitolo del Vangelo lucano il termine eleos ricorre quattro volte (cf. 1,50.54.58.72). Poi abbiamo il termine oiktirmon che possiamo tradurre con “compatire”. La misericordia come compassione si manifesta verso i nemici, a imitazione di Dio (cf. Lc 6,36). Infine abbiamo la misericordia come espressione della tenerezza materna, delle viscere materne (cf. Lc 1,78). Luca ne parla quando descrive la reazione di Gesù davanti alla vedova di Naim (cf. Lc 7,13), del samaritano davanti al malcapitato (cf. Lc 10,33) e del padre misericordioso verso il figlio minore (cf. Lc 15,20). Questo sentire Gesù lo attribuisce al Padre, lo insegna ai suoi discepoli e in particolare lo fa suo traducendolo in gesti e parole, al punto che la folla esclama: “Dio ha visitato il suo popolo” (Lc 7,16). Ma c’è un luogo dove la misericordia ha un suo apice: la croce. Luca è l’unico evangelista a ricordarci che Gesù sulla croce perdona i suoi crocifissori (cf. Lc 23,24) e offre la salvezza al ladrone pentito (cf. Lc 23,43). Le viscere misericordiose di Dio prima scendono (nella kenosis della croce e del sepolcro) e poi salgono (nell’anastatis del Terzo Giorno). All’inizio e alla fine di questo movimento c’è il Padre, che ha dimostrato il suo amore verso di noi consegnando il Figlio alla morte (cf. Rm 5,8) e poi costituendolo Signore (cf. At 32,36) e Primogenito (Protokos) di ogni creatura (cf. Col 1,18). Cantare il Benedictus ogni mattino significa allora accogliere il giorno che ci è donato nell’economia del “non ancora”. Siamo in cammino verso la pienezza. Cantare il Benedictus ogni mattino dispone ad accogliere la venuta delle viscere misericordiose di Dio nell’oscurità che ci abita, nelle tenebre che coprono il mondo. Dio ci raggiunge nel nostro peccato per liberarci e condurci su una via di pace, quella via che Gerusalemme non ha saputo riconoscere quando è stata visitata (cf. Lc 19,42). Cantare il Benedictus ogni mattino vuol dire confessare il primato dell’amore di Dio, della gratuità della sua tenerezza salvifica su ogni forma di morte.