Con la festa del Battesimo del Signore, nella domenica dopo la solennità della sua Epifania, inizia il tempo ordinario. Un tempo che, sovente, viene considerato “debole” rispetto ai tempi “forti”, o vuoto rispetto alla pregnanza delle grandi solennità. In realtà, è il tempo nel quale i grandi misteri celebrati nei momenti culminanti dell’anno liturgico si manifestano nella vita della Chiesa e nell’agire dei credenti. Nell’ordinario della vita quotidiana brilla così lo straordinario della grazia di Dio che rifulge nella sua Parola e nel dono del suo Figlio, soprattutto nella celebrazione eucaristica. Trentaquattro settimane nelle quali il mistero di Cristo “viene venerato nella sua globalità, specialmente nelle domeniche” (Norme Generali per l’ordinamento dell’Anno liturgico e del Calendario, 43). Il tempo ordinario fa sì che il quotidiano si innervi nel dono salvifico della Pasqua del Signore. Anzi, la distribuzione delle letture bibliche nelle domeniche caratterizza in maniera adeguata questo tempo nell’affidamento al testo stesso. È la parola di Dio, contenuta nel libro biblico e rivelata nella celebrazione liturgica, a convertire e rinnovare il cammino della Chiesa. Non, dunque, preoccupazioni legate al contingente determinano la scelta dei testi biblici, ma la Parola stessa che si è fatta Scrittura e nel rito ridiventa Parola, getta una luce di salvezza sull’esperienza dell’uomo. È Cristo, Signore e Salvatore, il riferimento attorno al quale tutta la Chiesa imposta il suo agire, rilegge il suo cammino nel tempo e orienta la sua missione. In questo anno A, l’esordio nella II domenica è dato dall’esclamazione rivelativa di Giovanni il Battista: “Ecco l’Agnello di Dio!” (Gv 1,36). I discepoli sono chiamati a seguirlo, a stare con lui e a ricevere da lui una nuova identità: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” (Gv 1,42). L’ordinario si fa straordinario nell’incontro con il Messia, i giorni dell’uomo (per annum) si colorano della novità di Cristo che cambia il tragitto delle esistenze. Così è avvenuto per i primi discepoli sulle rive del lago (Mt 4,12-23, III domenica). Soltanto chi accetta di incontrare il Signore, di farne esperienza viva e di non ridurre la fede a mera conoscenza di dottrine o a esecuzione di precetti morali fini a se stessi o di pratiche tradizionali, può davvero accogliere il suo messaggio contenuto nel Vangelo e anticipato nel grande discorso della montagna che la liturgia presenta in queste prime domeniche. La festa della Presentazione del Signore, seppure legata al ciclo natalizio, e che quest’anno prevale sulla IV domenica del tempo ordinario, è un invito a professare la fede in colui che Simeone prende in braccio e acclama luce delle genti e gloria di Israele (Lc 2,32). Farsi discepoli di Cristo e sedersi davanti a lui come le folle significa intraprendere un cammino di maturazione nella fede dove la Parola si imprime in noi e rinnova la nostra storia. Una Parola che rivela una sapienza alternativa rispetto alle parole del mondo come afferma l’apostolo: “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1 Cor 2,2). Una sapienza nuova che spinge i credenti a insaporire la terra come sale buono e gustoso e illuminarlo con coraggio, senza infingimenti, e aperti al mondo e alla sua complessità. Con quest’audacia i cristiani possono accogliere le esigenze severe del regno, come ammonisce l’insegnamento di Gesù nell’VIII domenica, ormai alle porte della Quaresima: “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33). Tempo ordinario, tempo della consuetudine ove riconoscere un primato: quello di Dio nei sentieri del nostro vivere.