IL NOME DI GESÙ NELLA LITURGIA ORTODOSSA

Quando viene consacrato un monaco, secondo la tradizione ortodossa, sia russa che greca, l’abate consegna una corda per la preghiera dicendo: “Prendi, fratello, la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio, per la preghiera continua a Gesù; poiché devi sempre avere il Nome del Signore Gesù nella mente, nel cuore e sulle labbra, dicendo sempre: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me misero peccatore”.

Il primo passo chiesto all’orante ortodosso è la liberazione della mente, allontanandola dagli affari e dalle fantasie del mondo, così che possa far silenzio in sé e, per così dire, far scendere “la mente nel cuore”, di modo che tutta la persona possa riposare in Dio. Solo allora possono schiudersi le labbra per pronunciare brevi parole di contemplazione, appunto il solo Nome di Gesù. Secondo gli ortodossi, invocare il Nome significa far sì che Cristo stesso sia presente e l’uomo possa ricevere la sua forza, la sua energia, la sua gloria.

NELLA LITURGIA ROMANA

Non meno importante è la preghiera al Nome di Gesù nella tradizione liturgica romana, soprattutto da san Bernardo da Siena in poi. Il Martirologio Romano (2004) definisce in questo modo la memoria del Nome di Gesù: “Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina”, facendo riferimento all’Epistola di san Pietro ai Filippesi 2,9-11.

Si comprende come l’aspetto che vuol essere sottolineato sia il senso di adorazione a questo Nome, che rappresenta la persona di Colui che è il Salvatore del mondo: invocando e adorando il Nome, si intende implorare ed entrare in comunione con la salvezza procurata e offerta eternamente da Gesù risorto, che vive nella Chiesa, suo corpo mistico.

TIBERIO CANTABONI

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