Definendosi “la vita vera”, Gesù esprime il legame che lo unisce al suo discepolo, “il tralcio”.
“Vite” e “vigna” sono due immagini care alla Bibbia per indicare il popolo d’Israele, che Dio ha “piantato” e custodito perché producesse molto frutto (Cfr Is 5,1-7; Ger 2,21; Sal 80,9-16).Anche Gesù fa sua questa immagine, che ritiene pienamente compiuta nella sua persona e nei frutti che nascono dalla sua obbedienza al Padre “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore” (Gv 15, 1). L’aggettivo “vero” non va inteso nel senso di “sincero”, “veritiero”, ma nel senso di “definitivo”, “autentico”: in Gesù l’immagine della vite trova l’espressione più autentica, definitiva.
Gesù è la vite che il Padre-Agricoltore ha “potato”, attraverso le sofferenze della persone, dalla quale ha avuto origine il frutto più prezioso per l’umanità, la salvezza, e il frutto più gradito al Padre, l’’obbedienza filiale di Gesù. All’immagine della “vite” Gesù associa “il tralcio”, immagine del suo discepolo e del cristiano di ogni tempo: “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,5). “Vite” e “tralcio”, cioè Gesù e discepolo, sono strettamente uniti dal verbo “rimanere”, il verbo che garantisce il frutto: “Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto…Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca”(Gv 15,6). “Rimanere” significa qui il lavoro interiore del discepolo che, sull’esempio di Gesù, obbedisce alla volontà del Padre e porta al mondo il frutto dell’amore.
DON PRIMO GIRONI