Un solo giorno di festa: così la Chiesa celebra i cinquanta giorni che dalla domenica di resurrezione si estendono alla Pentecoste. Giorni da vivere nella gioia per la vittoria di Cristo sulla morte e per la dignità di tutti coloro che in lui sono rinati a nuova vita. Un laetissimum spatium, come già definiva questo tempo Tertulliano. La luce del cero che nella notte di Pasqua ha illuminato le chiese e che domina lo spazio sacro in questo tempo è, al contempo, memoria di colui che ha sconfitto l’oscurità del peccato e della morte e della fede pasquale che tutti abbiamo ricevuto nel battesimo.
Il tempo dei 50 giorni, allora, è tempo di mistagogia, rilettura orante dell’esperienza sacramentale alla luce della parola di Dio. Memori del battesimo e convocati per l’Eucarestia pasquale, i credenti riscoprono la propria identità seguendo il filo tracciato dal Lezionario domenicale. È l’incontro con il Risorto che fonda l’esperienza della Chiesa (II e III domenica): lui, pastore buono, che conosce le pecore e dà la vita per loro, e porta di salvezza (IV domenica) è anche via, verità e vita per coloro che credono in lui (V domenica) e osservano i suoi comandamenti, vivificati dall’altro Paraclito (VI domenica). L’Alleluia che torna a risuonare nelle assemblee è canto di festa ed è preludio di un tempo nuovo, il tempo senza tempo dell’eternità, tempo della piena intimità con colui che ha debellato la morte per sempre e ci ha resi partecipi della Pasqua eterna. La novità della Parola e il canto dei fedeli fanno il paio per dire l'”eccedenza” di questi giorni, sospesi tra la risurrezione di Cristo e la vita eterna. La cinquantina pasquale è il tempo per antonomasia dell’Eucaristia, per inediti e per tutti i credenti. Tempo in cui la Pasqua vittoriosa del Cristo che ha segnato il passaggio dalla
morte alla vita per ogni uomo diviene alimento e principio di vita nuova: «Mangiamo dunque la Pasqua con Cristo, poiché nutre egli stesso coloro che salva. È lui infatti l’autore della Pasqua, è lui l’autore del mistero; perciò ha portato a compimento la festa di questa Pasqua, per renderci forti col cibo della sua Passione e per darci vigore con la bevanda della salvezza» (Cromazio di Aquileia, Disc. XVII). Questa Pasqua “da mangiare” è il mistero di Cristo che rinnova l’uomo se l’uomo accetta di fare esperienza di Cristo nei sacramenti. Le tante feste di “prima comunione” in questo periodo sono in Eucaristie pasquali, Eucaristie iniziatiche, Eucaristie che compiono il processo di iniziazione alla vita in Cristo e segnano il punto di avvio di un’esistenza sempre sostenuta e rafforzata dal sacramento del suo corpo e del suo sangue. In questo modo l’evento pasquale spalanca tutti i sepolcri grazie al fuoco dello Spirito che l’Eucaristia comunica e risplende nel vissuto delle Chiese, nella loro azione missionaria, nella fecondità del loro cammino. La Pentecoste, sigillo di questo tempo, assicura che, nell’assenza fisica di Cristo, la Chiesa è piena della sua presenza grazie all’azione incessante dello Spirito e alla testimonianza di coloro che dallo Spirito sono stati conformati al Risorto. Nella riscoperta della propria identità battesimale ed eucaristica, il cristiano riconosce di essere pietra viva impiegata per l’edificio spirituale di cui Cristo è pietra angolare: un’esperienza nuova, un culto inedito, una dimensione unica dove il Crocifisso risorto, pietra «scelta e preziosa davanti a Dio» (1 Pt 2,4) continua a operare e a offrire il suo perdono e la sua pace.